Questa è una domanda che secondo me sta alla base del rapporto tra psicologia e moda o meglio, per me tra psicologia e abbigliamento.
Devo dire che personalmente non ho mai subito il fascino della moda, può sembrare strano per chi ha avviato un’attività che ha come oggetto di lavoro l’immagine, lo stile, gli abiti in rapporto con l’identità e ha un negozio di abbigliamento tuttavia il mio interesse è sempre stato verso l’abbigliamento, al di là delle mode del momento, come mezzo di espressione, di energia, di autenticità o al contrario come effetto del nascondersi, del vorrei ma non posso o non so come fare, della necessità di proteggersi, di mettere delle distanze.
In tutti i casi l’abbigliamento è per me uno strumento di comunicazione e il mio interesse è a far sì che la comunicazione sia consapevole e faccia un buon servizio al proprio benessere.
La psicologia è secondo me utile per svelare significati, cogliere collegamenti, accrescere la consapevolezza sulle dinamiche in gioco al fine di attuare comportamenti sempre più efficaci allo scopo che ho dichiarato, vale a dire stare bene con sé, anche attraverso il proprio guardaroba.
Dunque da questo punto di partenza ritorno alla domanda iniziale: “Di chi sono l’espressione i miei vestiti?”
Secondo me ci sono due prospettive antagoniste e in mezzo una serie di sfumature.
Le riporto qui di seguito utilizzando le parole di Madame Merle e Isabel Archer tratte dal romanzo Ritratto di signora di Henry James.
Credo che Henry come suo fratello, lo psicologo William James, avessero un rapporto interessante con l’abbigliamento, il mondo di Henry lo conosceremo attraverso le voci di M.me Merle e Isabel, quello di William James lo si ritrova nel libro Principi di Psicologia nel concetto di sé materiale che egli descrive come composto dal corpo e a seguire dai vestiti: “ci appropriamo così tanto dei nostri vestiti e ci identifichiamo con loro che ci sono pochi di noi che, se si chiedesse di scegliere tra avere un bel corpo vestito di vesti misere e impure, e avere una forma brutta e impura sempre perfettamente vestita, non esiterebbe un momento prima di dare una risposta decisiva”.
Ma torniamo alla domanda e alle posizioni delle nostre protagoniste partendo da Madame Merle:
“Ogni essere umano ha il suo guscio. Ma per guscio intendo tutto l’involucro delle circostanze. Un uomo, una donna isolati non esistono: ciascuno di noi è fatto di qualche grappolo di accessori. Che cos’è il nostro io? Dove comincia? Dove finisce? Trabocca in tutto ciò che ci appartiene e poi rifluisce di nuovo in noi. So che gran parte di me è nei vestiti che scelgo e che indosso. Io ho un grande rispetto per le cose!
Il nostro io per gli altri, è l’espressione che noi diamo del nostro io; è la nostra casa, i nostri mobili, il nostro abbigliamento, i libri che leggiamo, gli amici che scegliamo…. Tutte queste cose sono profondamente significative!”
Isabel, al contrario sosteneva: “Non sono d’accordo con lei. Io penso proprio il contrario. Non so se riesco ad esprimere me stessa, ma so che null’altro riesce a farlo. Nulla di ciò che mi appartiene è una espressione della mia personalità; al contrario è un limite, una barriera, qualcosa di perfettamente arbitrario. Certo i vestiti che scelgo, come lei dice, non mi rappresentano: il cielo non voglia!”
“Lei veste molto bene” la interruppe con leggerezza Madame Merle.
“Può darsi ma non curo di essere giudicata da questo. I miei vestiti possono essere l’espressione della mia sarta, non di me stessa. Tanto per cominciare non ho scelto io d’indossarli mi sono imposti dalla società.”
“Preferirebbe andar senza?” fece Madame Merle con un tono che, virtualmente, chiudeva la discussione.
Ecco due posizioni differenti: i vestiti sono una mia forma di espressione, mi rappresentano, come sostiene anche Willian James, oppure i miei vestiti non mi rappresentano affatto e sono l’espressione di altri (moda, società, cultura…).
Per quanto mi riguarda sono consapevole dei condizionamenti esterni, della cornice data nella quale ci muoviamo, tuttavia ritengo che tutto ciò che portiamo verso di noi e con noi, e gli abiti ne fanno parte, al di là delle motivazioni parlino innanzitutto a noi, poi di noi, e infine per noi.
Perché allora non ascoltarla questa comunicazione e comprenderla nel suo messaggio in modo da creare un dialogo più ricco e fruttuoso?
Il mio modo di farlo è attraverso il metodo Dai Forma e Colore al tuo Stile™ , che conta di un lessico dell’abbigliamento per decodificare i significati nascosti tra le pieghe degli abiti e di un modello di lettura della persona, le Stagioni Interne, che collega i comportamenti al guardaroba,.
Se ti interessasse iniziare a conoscerlo ti lascio qui qualche link
Lessico Dell'Abbigliamento
Stagioni Interne