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Fatti di parole

5/6/2020

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In un articolo di Paolo Borzacchiello «Comunicazione interpersonale dopo la pandemia» sul Sole 24 ore ho trovato interessanti riflessioni sul ruolo delle parole che usiamo e dell'abbigliamento nelle nostre interazioni, ai tempi della pandemia, e di come l' embodied cognition e l'enclothed cognition possano aiutarci da un lato a spiegare determinati fenomeni, dall'altro a gestirli.
Ad esempio l'autore cita la comunicazione capo collaboratore, oggi così mediata dal mezzo digitale, e la possibilità di migliorarla attraverso le metafore della cognizione incarnata che ci insegna che il nostro cervello trasforma le parole in sensazioni.
Nell’articolo l’autore riporta la seguente casistica “dire a un collaboratore, ad esempio, che noi lo accompagneremo passo-passo in questo percorso di ripresa e che gli saremo vicini, sempre pronti a tendergli la mano, attiva nel suo cervello specifiche aree e altrettanto specifiche reazioni fisiologiche, proprio come se quella mano noi gliela tendessimo davvero”.

Da questo ragionamento ne deriva, seguendo gli spunti della cognizione incarnata, che per il grande uso che stiamo facendo del lavoro da casa, dove visivamente quello che abbiamo costantemente sotto gli occhi sono monitor e devices e per il fatto che quando andiamo nei negozi o presso uffici abbiamo sotto gli occhi divisori, pannelli, totem di sanificatori, abbiamo bisogno di oggetti e di metafore linguistiche che facciano da alter ego e bilancino la situazione.
A proposito di parole l’autore nell’articolo suggerisce termini quali: solide fondamenta, caloroso benvenuto, stabilità, duraturo, consistente.  
A proposito di oggetti, un’amica e collega mi ha segnalato un’azienda, Flowmarket, che ha creato dei prodotti con stampata una specifica parola, per materializzare i nostri bisogni più intangibili e servire da ispirazione per la riflessione e il miglioramento, per i proprietari e l'ambiente circostante.
Durante la pandemia ha creato una speciale collezione con parole ad hoc per stimolare un clima più favorevole, la trovi qui.

Ma non sono solo monitor, pannelli, sanificatori i protagonisti del nostro ambiente, noi stessi quotidianamente indossiamo mascherine e guanti. Sempre nell’articolo del Sole 24 ore, l’autore porta a riflettere sulle sensazioni di diffidenza, insicurezza e sui ricordi di strutture sanitarie e di malattia che attivano con effetti sulle relazioni sociali.
Questo fenomeno ormai iniziamo a conoscerlo ha il nome di enclothed cognition e riguarda l'effetto degli abiti sul nostro comportamento ed è per questo la utilizzo come logica nel confezionamento degli abiti (ne parlo anche qui).
A giudicare dalla larga diffusione di mascherine di diverse fogge e colori mi viene da dire che il commercio dell’abbigliamento contribuisca a riequilibrare la situazione rendendo più leggero, giocoso e anche un po’ fashion l’obbligo imposto.
​
Per concludere ritengo che lo strumento che possa sostenerci nel prosieguo di questo periodo, e che per me è lo stesso che rende la mia qualità della vita migliore riguarda le parole, da scegliere consapevolmente e con cura per dar voce ai pensieri, agli oggetti dei propri ambienti e ai vestiti del proprio guardaroba.

Approfondimento
Comunicazione interpersonale dopo la pandemia di Paolo Borzacchiello su Il Sole 24 ore
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Sfodera la tua immagine

28/12/2019

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L’immagine è come arriviamo agli altri è quello che mostriamo di noi: abbigliamento, gesti, posture. Sulla base di questo gli altri ci rimandano aspetti della nostra identità: sei curata, orginale, professionale, seria, etc.
L’identità è un dono sociale dice Galimberti: non è una dote naturale, l’identità ce la danno gli altri, è il frutto del riconoscimento. 
Immagine e identità sono in costante relazione. Come fare allora a garantire allineamento, coerenza e autenticità.
Per me questo è il lavoro del nostro stile. La nostra cifra stilistica allinea e comunica la nostra identità rappresentandola con l’immagine.
 
Qui di seguito ti propongo 3 passaggi per sfoderare la tua immagine.
 
1° Descrivila
  • Metti a fuoco chi sei, esprimilo con 5 parole chiave che descrivano le tue caratteristiche ed i tuoi valori (esempio: orginale, innovativa, curiosa, industriosa, ricercata).
  • Trasforma queste parole in forme & colori, ovvero se queste caratteristiche fossero forme (geometriche o oggetti) quali sarebbero? E di quali colori? Rifletti sul perchè hai scelto quelle forme e quei colori (esempio la forma di queste caratteristiche sarebbe un gioco come il monopoli, con tante caselle colorate di turchese, giallo, fucsia, colori vivaci e brillanti. Avrebbero questa forma perchè è compatta ma al tempo stesso dinamica nei suoi contenuti e per i suoi colori).
2° Accessoriala
  • Cosa vuoi mostrare, attraverso forme e colori, della tua identità? Metti in parole lo stile che vuoi adottare per rappresentare chi sei (esempio uno stile essenziale nelle forme e colorato con dettagli originali negli accessori).
3° Sfoderala
  • Seleziona dal tuo guardaroba i capi che corrispondono allo stile che hai descritto, fotografali e divertiti a comporre diversi outfit uscendo un po’ dai soliti abbinamenti, aiutandoti con apposite app (io utilizzo stylicious) o puoi realizzare collage con gli strumenti del tuo smarphone e poi divertiti ad indossarli. Se ritieni di non avere nel tuo guardaroba gli elmenti che hai descritto puoi iniziare a scaricare delle immagini da internet o puoi fotografare gli elementi da riviste e allo stesso modo comporre gli outfit con un app o con le risorse del tuo smarphone, se qualcuno di questi ti convince puoi provarli dal vivo in un negozio o puoi sperimentare l’acquisto online oppure puoi chiedere a qualche amica se ha qualcosa di simile della tua taglia da farti provare.
 
Il tuo stile ti rivela, ti racconta e ti rinforza se vuoi dargli forma e colore la prossima occasione la trovi qui.

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Alla conquista di un look gentile

10/12/2019

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Qualche post fa parlavo della competenza del good looking e di come la capacità di presentarsi al meglio sia diventata una soft skill e qualche giorno fa leggevo su La Stampa della scoperta del gene BAZ1B architetto del volto umano e ho trovato una straordinaria correlazione.
Il gene è stato scoperto in occasione dello studio di alcune malattie genetiche in una ricerca coordinata da Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di Epigenetica delle Cellule Staminali dell’ Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) che vede la collaborazione fra lo Ieo e l’Università Statale di Milano (hanno inoltre partecipato le Università di Barcellona, Cantabria, Colonia e Heildelberg, e l'Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo).
Il risultato di questo studio, spiegano i ricercatori, fornisce una prova sperimentale a sostegno della teoria dell’auto-domesticazione (self domestication), secondo la quale i nostri antenati hanno scelto di volta in volta come compagni soggetti più socievoli e cooperanti, con tratti facciali più morbidi e caratteristiche che favoriscono la comunicazione non verbale.
Questo potrebbe significare che i nostri driver nella scelta, sin dalla notte dei tempi, sono stati gli elementi che ci ingentilivano, ci rendevano più eleganti e attraenti.
Da questo ne deriva che la “forma” e il presentarci al meglio è tuttal’altro che un vezzo o qualcosa di futile bensì qualcosa di fortemente adattivo intorno al quale l’evoluzione ha lavorato molto.

In altre occasioni ho pensato e scritto che l’evoluzione non guarda all’estetica ragionando intorno a come diventeremo in relazione al rapporto che abbiamo con la tecnologia (ero partita da un articolo che descriveva come saremmo diventati nel 2100 a seguito del nostro rapporto con la tecnologia).
La conclusione alla quale ero giunta è che la natura fa il suo corso, il suo compito è quello di renderci più efficaci ed armonici nell’ambiente in cui ci muoviamo, la sua indole adattiva la porta a modificarci per consentire protezione, resistenza e performance ragionando in un’ottica di funzionalità più che di estetica.
Dalla scoperta del gene BAZ1B mi viene da dire che la natura fa il suo corso rispetto alle intenzioni del nostro genere, se fino ad ora è stato quello di crescere e svilupparsi puntando sulla relazione lavora in un certo modo, se è quello di chiudersi in solipsismo digitale in un altro.
Insomma sono sempre le intenzioni a dirigere il comportamento e nel comportamento ci sta la comunicazione e la costruzione dell’immagine.
E tu da che parte stai?
Se sei alla ricerca di come appararire al meglio nel rispetto delle tue intenzioni noi ci lavoriamo così.

Approfondimenti

La Stampa sabato 7 dicembre Svelato il gene che ci ha regalato un look gentile.
L’autodomesticazione umana ha un volto. E un gene.





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Allena il tuo BIL (benessere Interno Lordo) Parte II

5/12/2019

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Riprendiamo da dove eravamo rimasti: ai pensieri che ci sabotano e come cambiare registro.
Nel precedente post abbiamo parlato delle opinioni che trattiamo come fatti e dei devo che ci offuscano la vista e ci creano sensi di colpa.
 
Altro elemento critico sono le generalizzazioni e il tutto o nulla.
Quando ti dici: è sempre così, non succederà mai, o così o nulla, stai generalizzando.
Come cambiare registro?
La cosa che devi tenere a mente è: “Non credere a tutto quello che pensi”
Mettiti in discussione, relativizza, specificando i quando, i come i dove.
 
Altro brutto affare sono le etichette che sono giudizi, le esprimi con degli aggettivi.
I giudizi si dice che abbiano una doppia faccia raccontando molto dei nostri punti di vista e dello sguardo che abbiamo sul mondo, dunque prima di criticarli prendiamoli per quello che possono darci e poi impariamo ad andare un po’ più in là individuando cosa ci sta sotto.
Come cambiare registro?
Ad esempio se giudico qualcuno o me stessa come: incapace; immatura; irresponsabile, sarà utile che mi domandi qual è il comportamento che mi fa dire quello che dico.… e quindi separare l’essere dal fare.
Prova a riflettere se ti sei attribuita delle etichette e domandati: cosa faccio che mi fa dire di essere.
 
Altra categoria che ti propongo di osservare per i suoi effetti sul tuo benessere sono quei fenomeni di riferire tutto a sé, leggere il pensiero e il futuro.
Esempio sul riferire a sé - esco dall’ufficio e un collega non mi saluta e la mia tendenza è di pensare, ha fatto finta di non vedermi ce l’ha con me, ma cosa gli ho fatto? E magari l’altro è preso in tutt’altri pensieri del tipo: accidenti oli sono in ritardo e devo ancora passare dal fiorario.
Esempio di lettura del pensiero – sicuramente penserà che sono ridicola, adesso mi dice che non può. Ecco l’ha fatto apposta per ….
Esempio di lettura del futuro – è inutile che cerco casa tanto il mutuo non me lo danno, è inutile che glielo chiedo mi dirà di no, etc.
Come cambiare registro?
A livello linguistico in queste situazioni funziona mettere in discussione l’opinione sempre fondando sui fatti del tipo: cosa mi fa dire quello che dico? Io come lo so? E come sempre allenarsi a vedere nuove opinioni.
 
Infine l’ultima categoria è il catastrofismo: in questa situazione il pensiero assume tinte tetre e molto negative, spesso ci si mette in una situazione da vittima e ci si lamenta.
“Quando inizieranno i licenziamenti sarò certamente il primo, e poi avrò terra bruciata intorno, d’altra parte alla mia età poi è tutto finito, e con questo mercato…. “
Come cambiare registro?
Torna utile uscire dalla posizione della pre-occupazione catastrofica e mettersi in quella dell’occupazione chiedendosi, cosa posso fare ora per...
 
Se vuoi allenare il tuo BIL coltiva il tuo dialogo: pensieri di qualità per una vita di qualità!
 

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Allena il tuo BIL (Benessere Interno Lordo) - parte I

20/11/2019

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l BIL è un indicatore che serve a misurare la qualità di vita dell’uomo, qui l’ho rivisito un po’ rendendolo molto introspettivo perchè lo ritengo alla base della possibilità di apprezzarci, stimarci, piacerci e vivere una vita piena e ricca.
Secondo la prospettiva dell’ontologia del linguaggio siamo esseri linguistici che ci raccontiamo la realtà e così facendo costruiamo il nostro mondo, così la qualità dei nostri risultati e della nostra vita dipende da come ce la raccontiamo!
E prima della parola viene il pensiero, dunque pensiero e linguaggio sono gli ingredienti alla base del nostro benessere o malessere.
Ogni giorno ne formuliamo tra i 60.000 e gli 80.000 che rappresentano il nostro dialogo interno. Da pensieri positivi derivano stati emotivi positivi e da pensieri negativi, stati emotivi negativi.
Se è vero che i pensieri arrivano è vero anche che il pensiero non è un fenomeno da subire quanto un atto da compiere. Ok ma come ti starai chiedendo?
Vale la metafora dell’interruttore e del fatto che nella nostra mente non può starci più di un pensiero per volta, e possiamo cambiare la tonalità del nostro pensiero con un clic (come si fa con l’interruttore della luce) utilizzando la comunicazione, ad esempio dandoci una scossa o facendoci delle domande.
Spesso si pensa che per avere una vita più piena e più ricca occorra cambiare vita mentre si può partire dallo stile di pensiero prevalente che si ha sulla nostra vita.
Vediamo da vicino cosa ci impedisce di mantenere “positivi” i nostri pensieri e come cambiare registro.
Qui ti presento il primi 2 sabotatori con degli spunti per cambiare registro di pensiero.
I successivi nel prossimo post.
 
Il primo elemento critico rispetto alla qualità/stile dei nostri pensieri è quello di scambiarli per dei fatti ad esempio se mi dico: mi piacerebbe diventare istruttrice di pilates, ma non ho la disciplina necessaria sto formulando una opinione che mi sabota.
Come cambiare registro?
Delle buone domande ci aiutano a rivedere questa serie di pensieri: cosa mi fa dire che non ho la disciplina necessaria? Ci sono situazioni nelle quali la ho avuta? Quindi il primo punto da tenere a mente è che: i pensieri sono opinioni e in quanto tali non sono né vere né false, quando li scambiamo per fatti possiamo rivederli e ampliare i nostri punti di vista.

Altro elemento che negativizza il pensiero è il ragionamento dal luogo del “dovrei/devo”:
A questa età dovrei avere un buono stipendio; dovrei avere una relazione stabile; dovrei chiedere un aumento; devo fare la dieta.
Questa forma di conversazione attiva la nostra parte passiva e vittimistica e apre lo spazio della lamentela, degli alibi.
Come cambiare registro?
Domandati se ci sono dei dovrei nella tua realtà, elencali e sostituisci la parola “dovere” con “volere”:
A questa età voglio un buono stipendio; Voglio avere una relazione stabile; Voglio chiedere un aumento; Voglio fare la dieta.
Riscrivendoli così, come ti suonano? Ti convincono? Se sì saranno delle dichiarazioni, se no cosa ti crucci a fare con il senso di colpa che è una cosa che non ti interessa?
 
Se ti va, fino al prossimo post lavora su questi primi due sabotatori e guarda come va.

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Good Looking una soft skill

5/11/2019

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Nel dialogo tra il concetto di identità e immagine si fa strada una nuova competenza, quella di porre attenzione alla cura della propria persona, sapendo esaltare le proprie qualità e comunicandole in modo efficace: il good looking.
Se l'identità ha a che fare con chi sono e perché faccio quello che faccio e l'immagine è come arrivo agli altri, è la competenza del good looking a garantire o meno l'allineamento tra queste due variabili.
Vale a dire che il good looking è la capacità di creare un'identità visiva nella mia immagine coerente con le competenze ed i valori della mia identità.

Con la nostra immagine creiamo delle aspettative sulla nostra identità e lo facciamo in un tempo brevissimo. In un battito di ciglia chi ci guarda emette un giudizio basandolo su una serie di elementi, in primis sulla nostra comunicazione non verbale, abbigliamento e atteggiamento, e su elementi della propria esperienza: quella somiglianza, quell'assonanza con, etc.

Come coltivare il good looking affinché faccia un buon servizio per la nostra identità?
Secondo me si tratta di una formae mentis che affonda le sue radici nella capacità di valutarsi e non giudicarsi, ti chiederai dove stia la differenza.
La distinzione secondo me sta nel fatto che quando ti giudichi ti stai misurando rispetto a qualcosa che è bello/brutto, giusto/sbagliato, troppo/poco e via dicendo. Quando ti valuti ti stai osservando contestualizzando e relativizzando quello che vedi, e questa chiarezza ti permette di agire in modo mirato.

Facciamo un piccolo esperimento, mettiti davanti allo specchio, osservati e annota le conversazioni che sono affiorate.
Cosa ti sei detta? Frasi del tipo: Mica male! Che bel sorriso. Mi stanno bene oggi i capelli.
Oppure frasi del tipo: Mamma che faccia! Che disastro. Non mi si può guardare.

Alcuni sono giudizi (mica male, mamma che faccia, che disastro, non mi si può guardare), altre assomigliano già a valutazioni (che bel sorriso, mi stanno bene oggi i capelli).
Vediamo come trasformare i giudizi in valutazioni e a che fine.
Prendiamo la frase “che disastro” e andiamo più in profondità, cosa me lo fa dire: la pettinatura, il trucco, l’abito, l'espressione?
A questo punto riformuliamo in modo più concreto, per esempio se il problema sono le occhiaie mi dirò: le occhiaie sotto gli occhi mi danno l’aria stanca.
Distinguere ci dà la possibilità di specificare quello che ci piace e quello che non ci piace di noi per cambiarlo.
Nel caso di sopra potrò usare del correttore o altri accorgimenti nel mio stile di vita per ridurre le occhiaie, si tratta di un inizio, cosa che non riesco a fare se mi vedo tutta come un disastro!
Inizia ad allenare la tua capacità di presentarti partendo dal modo di vederti e di descriverti aggiungendo ogni giorno una buona conversazione davanti allo specchio

A questo punto seri pronta per gli step successivi:
Metti a fuoco chi sei: le tue caratteristiche e i tuoi obiettivi
Declina le tue caratteristiche e gli obiettivi in parole, forme e colori.
Individua i capi che ti rivelano, ti raccontano, ti sostengono in accordo con i contesti in cui ti muovi e il gioco è fatto!
Se ti serve un aiutino ne parliamo nel workshop e nella consulenza: dai forma&colore al tuo stile che trovi qui: Stile











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Su cosa punti nel make up?

13/10/2019

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Uno studio condotto dall' Osservatorio della Bellezza di Avon decreta, a livello nazionale, come alleato di bellezza per le donne il mascara (48%), seguito dal rossetto (40%).
Solitamente ciascuna di noi, nel suo make-up, ha sviluppato delle abitudini puntando su un elemento del volto per diversi motivi, ad esempio per «correggere» presunte imperfezioni, per enfatizzare punti di forza, per attirare l'attenzione, comunicare messaggi di determinazione, seduzione o altro ancora.

Qualche anno fa una ragazza californiana di 21 anni, Brinton Parker, fece un esperiemento volendo testare l'ipotesi che il make up condizionasse la relazione con il proprio interlocutore: sfoggiò in tre giorni tre make up diversi e scrisse poi un articolo con i risultati sul Daily Mail.
Il primo giorno uscì di casa completamente struccata (era abituata ad almeno un filo di correttore) nell'articolo scrisse che si sentiva a disagio e nervosa, vedeva le sue occhiaie e in più aveva un brufoletto e credeva che tutti gli sguardi sarebbero andati proprio lì. Appena gli amici la videro le chiesero se se fosse tutto ok e se avesse avuto un weekend duro. Un barista invece le offrì un caffè dicendole che forse ne aveva bisogno, un compagno le chiese se avesse avuto un week end pesante.
Il secondo giorno Brinton  indossò un make up molto leggero e di ”routine”, si sentiva nella sua zona di comfort, gli amici non notarono nulla di diverso e dalle ragazze ricevette alcuni complimenti.
Il terzo giorno Brinton adottò un make up molto più pesante e marcato, truccando il volto in maniera diversa dal solito. La ragazza nel suo articolo specifica che aveva scelto questo trucco non per un party serale, ma per le classiche lezioni mattutine all’Università. I suoi coetanei reagirono al trucco inconsueto: un ragazzo le chiese se era già pronta per far festa nel fine settimana; altri le domandarono se il trucco glamour era dovuto ad un’occasione particolare; mentre il solito barista le chiese se era pronta per una recita scolastica.
Brinton concluse dicendo che effettivamente le sue ipotesi erano corrette e che gli altri cambiano il comportamento in base a look e l'immagine proposta.

Questa è una parte della storia, l’altra parte sulla quale vorrei portare la tua attenzione è sull'atteggiamento di Brinton. Ossia in che modo il suo modo di vedersi nei 3 giorni ha influito sulle interpretazioni altrui?
Perché l’aspetto che mostriamo è condizionato dalle nostre opinioni, che definiscono i nostri stati d’animo e le nostre azioni, dunque immaginiamoci il primo giorno, Brinton in una condizione diversa dal solito (senza trucco) e con un brufolo appena spuntato, con che occhi si sarà guardata?  Quali saranno state le sue conversazioni? (presumibilmente: vedranno le mie occhiate, tutti guarderanno il mio brufolo, penseranno che ….) Ci dice che si sentiva a disagio e nervosa, come si sarà comportata? (avrà cercato di nascondere il suo brufolo con una mano sopra? Avrà tenuto la testa bassa? Si sarà messa in disparte?) possiamo chiederci: sarebbe cambiato qualcosa nei suoi stati d’animo e nei suoi comportamenti se invece di pensare “vedranno le mie occhiate e il mio brufolo” avesse pensato “vedranno il mio aspetto al naturale, e la mia spontaneità”?
Io sono convinta di sì …. Sono convinta che affinché la nostra immagine ci renda un buon servizio (ossia contribuisca a definire una buona autostima) occorra saperla vedere, occorra dotarsi di punti di vista che ci consento di mettere in campo nuove azioni e nuove soluzioni nel nostro look.
E quindi diventa importante comprendere con quali occhi ti guardi allo specchio? Quali sono le tue conversazioni? Se ti accorgi che sono troppo severe, allenati a renderle più specifiche il tuo dialogo interno apre o chiude delle possibilità anche per il tuo look!
E per gli aspetti che vuoi migliorare qui possiamo fare qualcosa per modificarli :-)



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L’OUTFIT CHE FA PER T(R)E

8/5/2019

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In questo post desidero spiegarti come, dal mio punto di vista, si possa ogni giorno costruire un outfit, vale a dire un insieme di abiti e accessori coordinati, che possa sostenerti nello stile e nell’autostima.
A questo scopo l’abbinamento che andrai a creare deve soddisfare quello che chiamo il principio delle 3R:
  • Rivelare: vuol dire che l’abbinamento che hai scelto deve esaltare i tuoi punti di forza a livello cromatico e a livello di proporzioni e forme.
  • Raccontare: significa che l’abbinamento dovrà parlare di te, delle tue intenzioni, del tuo stile, della tua personalità, creando coerenza tra la tua dimensione interiore e le tue intenzioni.
  • Rinforzare: infine l’abbinamento che avrai scelto dovrà esserti di supporto durante la giornata, infondendo nella tua mente e nel tuo corpo una sensazione di benessere ed energia di cui tu possa disporre semplicemente abbassando lo sguardo sui capi e gli accessori che lo compongono e farne il pieno in ogni momento in cui ne sentissi il bisogno.
Come soddisfare questo principio? Bene te ne parlerò di seguito punto per punto.
Quando parlo della prima R (rivelare) mi sto riferendo squisitamente all’aspetto estetico. Hai presente nel film “Come tu mi vuoi”  la trasformazione della protagonista impersonata da Cristina Capotondi?
Ebbene, un outfit azzeccato per i giusti colori e la scelta di forme adatte al tuo corpo può dare una svolta alla tua immagine. Per raggiungere questo risultato la consulenza stilistica si serve dell’armocromia per trovare i colori “amici” adatti al tuo sottotono di pelle e dell’analisi delle forme (body shape) per trovare i capi che le valorizzano.
Il mio consiglio è di passare in rassegna gli abiti del tuo guardaroba, magari con un’amica, così è più divertente, e tenere quelli che risultano donanti per colore e forma mettendo da parte quelli che non ti convincono.

​Con la seconda R (raccontare) mi riferisco alla comunicazione che arriva dai tuoi abiti attraverso i simboli che contiene.
I simboli sono ovunque! Sono elementi in grado di evocare, grazie ad un’associazione, un concetto diverso da quello che mostrano, per esempio il Sole è un simbolo maschile di energia e forza, quello della Luna è un simbolo femminile di intuizioni e ciclicità.
Che lo vogliamo o no, che ne siamo consapevoli o no i simboli agiscono su di noi e sugli altri. Per spiegare questo fenomeno Jung (psichiatra e psicoanalista svizzero) ha elaborato il concetto di inconscio collettivo descrivendolo come quella parte dell'inconscio umano che è comune a tutti gli altri esseri umani e contiene gli archetipi (vale a dire forme e simboli) che si manifestano in tutti i popoli di tutte le culture.
Dunque tornando al nostro Sole e alla nostra Luna, se decidi di indossarli come ciondoli nel tuo outfit daranno messaggi di te molto diversi: uno energico e attivo ed uno passivo e ricettivo, definendo così l’impressione che arriverà all’esterno.
Il nostro funzionamento è per lo più coerente e mediamente i simboli che scegliamo rappresentano la nostra interiorità.  Ma come esserne consapevoli e usarli intenzionalmente?
Beh qui ci vuole un po’ di studio, ma è anche importante stare in ascolto di noi stesse perché il nostro inconscio la sa lunga.
Dunque il consiglio che do a te per valutare la coerenza tra i simboli che indossi  (nelle stampe, nelle forme e nei colori degli abiti e degli accessori che scegli) e il tuo modo di essere e di fare è di metterti davanti allo specchio domandandoti se con gli abbinamenti che indossi ti senti pienamente tu oppure no, se hai voglia puoi coinvolgere qualche tua amica, conoscente, parente, e chiedere la loro opinione su una foto di un abbinamento che indossi, domandandogli: “se non mi conoscessi,  guardando questa  foto, le mie caratteristiche più interiori ti arriverebbero oppure no?”.
Se la risposta, sia tua, sia degli altri, è un sì il tuo dentro e il tuo fuori sono allineati, se è un no occorre comprendere cosa definisce il gap e come poterlo modificare.
 
Infine con la terza R (rinforzare) mi riferisco all’effetto che gli abiti hanno su di te, su come ti fanno sentire e agire.
Gli psicologi Hajo Adam e Adam Galinsky parlano di Enclothed Cognition per spiegare questo effetto qui trovi il loro articolo.
Il consiglio che do a te è di riconoscere come ti senti quando indossi certi outfit e prenderne nota per massimizzare e ripetere gli abbinamenti che ti fanno sentire bene e via, via ridurre ed eliminare quelli che ti tolgono energia, vitalità e buon umore.

Se questi temi ti interessano li puoi approfondire nel corso “Dai Forma e Colore al tuo Stile”, dove insieme possiamo trovare i tuoi colori amici grazie all’armocromia, le tue forme grazie a prove di abiti, e dove puoi allenarti a costruire abbinamenti che ti raccontano e che ti rinforzano grazie alla conoscenza del lessico dell’abbigliamento e delle stagioni interne che mi sono divertita a vestire ma di questo ti parlerò in seguito.

Intanto divertiti ad usare le 3 R nei tuoi abbinamenti!
 

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Detox per critici impenitenti

22/3/2019

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Le tue convinzioni diventano i tuoi pensieri.
I tuoi pensieri diventano le tue 
parole.
Le tue parole diventano le tue 
azioni.
Le tue azioni diventano le tue 
abitudini.
Le tue abitudini diventano i tuoi 
valori.
I tuoi valori diventano il tuo 
destino.
Gandhi
​Di solito facciamo una dieta detox per purificare il nostro corpo quando lo abbiamo sovraccaricato di sostanze e cibi nocivi. In questo post ti propongo una dieta di pensieri e di parole soprattutto se sei un severo giudice di te ed un impenitente critico perché forse potresti averne bisogno!
Avrai sentito dire che “la mappa non è il territorio”, si deve ad Alfred Korzybsky, filosofo e matematico polacco vissuto tra la fine dell’ottocento e la prima metà del novecento, l’elaborazione di questo concetto che mette al centro della costruzione del nostro mondo, il ruolo del pensiero e del linguaggio.
Pensieri e parole, sono il filtro con cui costruiamo la realtà. I nostri sensi ricevono un numero elevatissimo di stimoli ogni secondo, per poterli trasformare in ciò che chiamiamo esperienza dobbiamo filtrarli ed elaborarli, dargli un nome, quello che otteniamo sono delle mappe.
Queste mappe rappresentano la nostra individualità, e sono fatte di pensieri che vengono esternati con parole e diventano poi azioni, comportamenti e nel tempo abitudini e quindi credenze/convinzioni che abbiamo su di noi e sul mondo. Sono le lenti con le quali guardiamo quello che ci circonda e ci fanno agire più o meno efficacemente, dipende se sono mappe di buona qualità!
Per esempio, se mentre mi preparo per uscire di casa per andare ad un incontro importante davanti allo specchio inizio a pensare di non essere abbastanza qualcosa (abbastanza affascinante, intelligente, competente, esuberante) o essere troppo qualcos’altro (ordinaria, disordinata, timida), inizierò ad esprimere questo pensiero con parole (ma guarda che faccia/capelli, ci saranno altri più preparati di me, etc.) e poi con le azioni (ad esempio nella scelta di abiti sempre dello stesso colore, o forma, adottano posture di “difesa” e stando in disparte).
A questo punto con tutta probabilità questo modo di pensare e di agire mi metterà in situazioni nelle quali i miei pensieri troveranno riscontri nella realtà: la
profezia che si auto-avvera.

A poco, a poco consoliderò convinzioni e credenze sulla mia persona: sono timida e ordinaria, nel mondo del lavoro per fare carriera bisogna essere esuberanti e affascinanti e io non ce la farò mai.
Questo processo sfortunatamente dà origine ad una credenza limitante che chiude a possibilità di sviluppo e crescita.
Le credenze però possono essere anche trainanti, il gioco diventa sostituire le credenze limitanti con altre credenze, positive e potenzianti, per fare questo può risultare utile un lavoro detossicante quotidiano a partire da un’attenta selezione nel proprio linguaggio.
Il filosofo russo Gurdjieff sosteneva che "noi diventiamo le parole che ascoltiamo". In effetti, le cose stanno proprio così: le parole che ascoltiamo e che pronunciamo lasciano una traccia in noi, lavorano nel nostro inconscio per giorni, mesi, anni, arrivando a cambiare la nostra mentalità e lasciando una traccia fisica nel nostro corpo. Gurdjeff aveva intuito che noi diventiamo per davvero le parole che ascoltiamo ma, ancor di più, quelle che pensiamo o pronunciamo e che continuiamo a pronunciare.
Che fare allora? E’ importante diventare consapevoli della nostra comunicazione, degli effetti che ha su di noi, nel processo di costruzione della nostra personalità e nel nostro sistema di credenze.
Osserviamole da vicino le parole che ci fanno male:
  • Uso impulsivo e costante di forme negative che creano barriere: sono i NO e i NON SONO. Quando affiorano apri uno spazio al dialogo e domandati se le cose stanno proprio così, se è un NO irrevocabile o se sono solo alcuni aspetti che ti fanno da dire NO, lo stesso per i tuoi NON SONO, è proprio così? Totalmente NON SEI o ci sono solo alcune sfaccettature.
  • Le parole che evocano carenze, sacrifici, sbagli (es. problema, limite, mancanza, errore, etc.), che fanno di noi persone pessimiste, distruttive e noiose. Quando nella tua comunicazione noti che il focus è sulle carenze, bilancia guardando anche quello che c’è, le risorse, e inizia a nominarle, trova e inizia ad usare dei sinonimi a queste parole che alleggeriscano il senso.
  • Le generalizzazioni e gli assolutismi (es. sempre, mai, ogni volta, etc.) che creano dinamiche “o”/ “o”, bianco o nero, rigidità e chiusura. Allenati a srotolare i concetti, a specificarli, a dettagliarli, usa le relativizzazioni circostanziando i fatti con degli esempi.
  • Le parole con valenza di dubbio che abbassano il morale, trasmettono bassa incisività ed energia (dovrei, se ci fosse, cercherò, forse, magari), sono spesso espresse con verbi al condizionale, sostituiscili con tempi al presente. Ricorda l’insegnamento del Maestro Yoda in Guerre Stellari: “Fare, o non fare! Non c’è provare!”.

Se hai bisogno di qualche suggerimento sulle parole da usare, trovi un elenco di parole positive qui.
elaborato da un gruppo di persone appassionate di linguaggio e pensiero positivo e qui trovi la TED della fondatrice
Elena Daniela Calin, la cui mission è promuovere parole positive. Si definisce in un modo bellissimo: una ricercatrice di parole positive!

Ora a te, se ti va inizia il detox e trova le tue parole!


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