Inizia a scricchiolare nel momento in cui lo spazio sicuro ci viene a noia, non ci offre più stimoli e così l'agio si trasforma in irritazione e la sicurezza in voglia di novità.
L'atteggiamento verso questa dimensione, immaginandolo come un continuum, può essere ai due estremi: fluido o bloccato. Nel primo caso ci sarà un movimento e poi una sosta per riposarsi, rifocillarsi e riprendere il viaggio, nel secondo caso ci sarà uno stallo che diventa attaccamento, impedisce nuove azioni diventando così una zona di scomfort.
Questa zona è presente anche nel nostro stile, nelle scelte che quotidianamente compiamo davanti al nostro guardaroba e prima ancora durante i nostri acquisti.
Qui mi soffermo sulla dimensione dello stallo, esplorando le forme che nella nostra immagine l'attaccamento può assumere: niente scolli, niente di aderente, niente tacchi, niente colori accesi, solo pantaloni, solo capi comodi.
Può anche funzionare al contrario per qualcun altro la zona di (s)comfort può essere: mai senza scarpe con il tacco, mai senza rossetto, mai senza un capo attillato.
Insomma a ciascuno la sua, ma da cosa dipende l'attaccamento nella scelta di ciò che indossiamo, a cui ci affezioniamo e fatichiamo ad abbandonare?
Penso che non possa prescindere dalla nostra stoffa interiore.
Le nostre caratteristiche personali e comportamentali, un vestito per volta, veicolano la nostra immagine che a sua volta riflette il nostro stile che a seconda delle spinte interne potrà essere più libero o in stallo portando più o meno in espansione la nostra zona di comfort.
La dinamica motoria di questa zona funziona in modo tale per cui i cambiamenti possono portarla a crescere in un'area di sviluppo e apprendimento, specie se il cambiamento introdotto non è percepito come eccessivo, e magari mantiene un codice analogo alle proprie abitudini. Per esempio non indosso mai i tacchi ma ho sempre scarpe originali, per spostarmi un po' oltre le consolidate abitudini inizio allora con un tacco medio di foggia originale.
Se invece il cambiamento è vissuto come eccessivo avendo un gap troppo elevato dall'abitudine allora ci si sposta in una zona di panico che produrrà frustrazione, disagio e malessere. Nell'esempio di sopra indossare una décolleté con tacco a spillo, sarebbe troppo, sia per l'altezza del tacco sia per lo stile.
Insomma lo spostamento è bene che sia graduale, di un' entità percepibile e coerente con la propria cifra stilistica.
Per fare un collegamento agli stili comportamentali e quindi alle stagioni interne, ci sono stili più propensi ad agire sulla propria zona di comfort: estate e primavera i cui driver sono nel primo caso dinamismo, spinta al miglioramento, competitività e nel secondo caso, curiosità, ecletticità, apertura al cambiamento.
E stili che lo sono meno poiché più bisognosi di stabilità e punti fermi: autunno e inverno.
Ma in definitiva è sempre necessario uscire dalla propria zona di comfort?
Per me solo se, come un vestito, sta un po' strettina e non permette libertà di movimento.
Dunque a ciascuno la sua risposta e per trovarla lascio qui qualche domanda.
C'è qualche convinzione che limita la tua espressione nell'immagine?
Cosa puoi iniziare a modificare nel rispetto del tuo stile e della tua voglia di cambiamento?
Da dove inizierai?
Se pensi invece che nulla ti sia limitando rimani lì dove sei e goditi il tuo stile!