(Erin Wasson)
Fino ad ora su questo blog non avevo ancora scritto nulla sui capelli, eppure è un tema che mi ha sempre coinvolto moltissimo.
I miei capelli sono stati per lungo periodo fonte di insoddisfazione, da piccola mia mamma mi portava dalla sua parrucchiera che, ormai in pensione, in una recente occasione in cui l’ho incontrata mi ha ricordato di come fossi paziente ed educata nello stare sotto il suo phon a farmeli stirare.
Eh sì perché sono una riccia che per diverso tempo ha cercato di domare la chioma, con spazzole, piastre, e l’utilizzo di un casco casalingo (quando ero ragazzina si usava, era abbastanza diffuso nelle abitazioni), sotto il quale, quando mi asciugavo i capelli, trascorrevo un tempo abbastanza lungo e nel frattempo leggevo e studiavo.
Ecco ora che ci penso, i capelli per me sono da sempre collegati ai pensieri, allo studio, alle idee. Ancora oggi mentre li asciugo con un diffusore ne approfitto per leggere.
Il rapporto con i miei ricci è passato nel tempo da un totale rifiuto, ad una serena rassegnazione per arrivare oggi ad un inaspettato orgoglio, complice anche la cultura ed il movimento #embraceyourcurls (valorizza i tuoi ricci) che ha portato con sé molta divulgazione in merito.
I giudizi che in prevalenza un tempo affioravano alla mia mente riguardavano la stravaganza e il disordine.
Quando conducevo delle formazioni sui temi della comunicazione e del personal branding mi capitava spesso di citare esempi personali, uno di questi aveva a che fare con la distinzione tra assolutismi e relativizzazioni, che esemplificavo con un giudizio su di me per passare poi la palla ai partecipanti e l’opinione che esprimevo, nell’ottica della generalizzazione, era la seguente: ho sempre un’immagine disordinata che poi nell’ottica della relativizzazione diventava quando ho i capelli crespi la mia immagine è disordinata.
Succedeva che alcuni giudizi sulla mia immagine e andando anche oltre sulla mia personalità partivano proprio dai miei capelli, per effetto alone per il fatto di essere riccia mi percepivo: caotica, disordinata, meno professionale di colleghi che avevano una bella piega.
Il lato buono della medaglia era la percezione della creatività e dell’originalità.
È stato di un certo sollievo, anche se magro, lo scoprire che non solo sola con questo vissuto, una ricerca del 2017 ha evidenziato una stretta correlazione tra il giudizio di avere capelli brutti (piega, taglio, etc.) e in disordine e il senso di autostima.
La ricerca è stata finanziata da Procter & Gamble in occasione del lancio di una nuova linea di prodotti per capelli e realizzata dal Gender Communication Laboratory di Yale, diretto dalla Professoressa Marianne LaFrance.
Tra i risultati più sorprendenti è emerso che la sensazione di avere dei capelli in ordine e di bell’aspetto era correlata al livello di competenza percepito: i soggetti che giudicavano i propri capelli scompigliati, in disordine o con un brutto styling percepivano le proprie capacità come significativamente inferiori rispetto ad altri, inoltre il solo fatto di pensarlo generava il giudizio di essere meno intelligenti.
Altra correlazione significativa rilevata è stata con il sentimento di insicurezza sociale, che si è tradotto per le donne in imbarazzo e vergogna e per gli uomini in nervosismo e asocialità.
E per concludere un'ulteriore correlazione rilevata è con l'autocritica, che si è manifestata con maggior severità e negatività nel giudizio delle proprie caratteristiche personali.
Quanto a differenze di genere, c’è da dire che l’effetto bad day hair è piuttosto democratico perche riguarda, a dispetto dei luoghi comuni, uomini e donne in egual misura
Come dicevo la consolazione è piuttosto magra, perché trovo davvero triste che la nostra testa subisca i condizionamenti della sua messa in piega, ma tanto è; magari conoscere come funzioniamo ci aiuta via, via a snodare come un buon pettine giudizi e pensieri ingarbugliati e arruffati.
Approfondimenti sulla ricerca di Yale: campione, metodologia, etc.
Sono stati coinvolti 120 soggetti di età compresa tra i 17 ed i 30 anni (50% donne e altrettanti uomini).
Il campione era composto da più del 50% da popolazione occidentale, circa un 10% afroamericana, oltre un 20% asiatica.
I partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi, ad uno dei quali è stato chiesto di raccontare episodi nei quali giudicavano di avere capelli in disordine, un altro è stato indotto ad un pensiero negativo attraverso l’immaginazione di packaging danneggiati di prodotti scadenti, infine l’ultimo gruppo era di controllo e quindi non ha avuto alcuno stimolo.
L’intero campione è stato sottoposto a diversi test psicologici orientati a misurare l’autostima e il giudizio verso di sé, i risultati hanno sempre mostrato una maggiore correlazione del primo gruppo con un basso livello di autostima e un severo giudizio verso di sé.