Siamo fenomeni offerti alla vista, diceva lo psicologo James Hillman, quello che offriamo è la nostra immagine e con questa creiamo aspettative sulla nostra identità e tutto questo accade in un battito di ciglia.
Ciascuno di noi inquadra la realtà con i propri filtri che hanno in comune il fatto di essere soggetti a delle sfocature (si tratta di errori cognitivi meglio conosciuti come bias nei quali inciampiamo nel formulare le nostre opinioni), di quelle che riguardano l’immagine parlerò in questo post e nel prossimo.
Alla base delle sfocature
Quel che arriva prima influenza quello che arriva dopo
Questo effetto si chiama priming, vale a dire che l’elaborazione di una precedente informazione influenza l’elaborazione delle informazioni successive. Per esempio se mostro sui social una foto in abbigliamento formale, con colori scuri (es. blu, grigio, nero), quelle forme e quei colori funzioneranno da “prime” per concetti quali professionalità e serietà.
Categorizziamo
Per dare ordine e senso al mondo che osserviamo, creiamo delle categorie, queste categorie attivano comportamenti specie-specifici che sono legati all’etichetta (vale a dire al giudizio/stereotipo) che attribuiamo alla categoria.
In fatto di immagine ad esempio in linea generale se vediamo una persona in abbigliamento casual con colori chiari e fantasie curvilinee, tenderemo a classificarla come semplice, socievole e disponibile e con molta probabilità, nel caso avessimo bisogno di un’informazione, ci avvicineremmo a questa con maggiore facilità rispetto ad un’altra persona in abbigliamento classico con colori scuri e fantasie angolose che tenderemo a classificare come distaccata e severa.
La prima categoria attiva un comportamento “verso”, la seconda “via da”.
Gli elementi che producono le diverse sfocature
Maschile-Femminile
Il genere maschile o femminile è uno dei principali elementi che ostacola una messa a fuoco nitida in fatto di immagine.
Tendiamo ad associare l’idea di successo, carriera ad un uomo molto di più che ad una donna.
La modella Rai Dove, dall’aspetto particolarmente androgino, in un’intervista (iO Donna, 9 maggio 2017). ha raccontato che prima di intraprendere la carriera di modella ha passato un periodo difficile durante il quale, trovandosi senza soldi, sfruttava proprio le sue sembianze maschili per poter lavorare come uomo in una palestra. Aveva capito infatti che i maschi vengono pagati meglio. Ora si batte contro le ingiustizie di ogni tipo, convinta, come sottolinea sui social, che “il genere non esiste”.
Per quanto riguarda l’immagine uomini e donne sono giudicati diversamente per ciò che indossano, lo rappresenta bene la campagna “Don’t measure a woman’s worth by her clothes”,
La campagna è uscita con il logo di Terres de Femmes nel 2015 (l’ente chiarisce in questo twit la sua posizione ), disegnata da Theresa Wlokka (direttore artistico e alcuni studenti della Miami Ad School di Amburgo, infine Frida Regeheim è la copywriter.
La campagna mette bene in luce come il genere femminile sia giudicato in base a forti stereotipi molto di più rispetto agli uomini.
Tuttavia oggi si aprono nuovi scenari, nel tentativo di superare questo bias di genere.
Sui social si è diffuso un movimento chieamato #degenderfashion, che tradotto in termini semplici significa: «indosso il mio abbigliamento e non importa in quale reparto del negozio l’ho preso».
Le tendenze delle passerelle prêt-à-porter negli ultimi anni, sono orientate ad eliminare l’idea di qualsiasi stereotipo nel vestire. Il genderless fashion è il totale abbandono della netta distinzione tra maschile e femminile, e l’utilizzo di capi d’abbigliamento, accessori e colori senza alcuna differenza di genere.
Secondo alcune recenti ricerche, i consumatori appartenenti alla Generation Z sono quelli che più facilmente potranno andare in questa direzione, infatti spesso acquistano indumenti al di fuori dell’area gender a loro assegnata. Questa tendenza ha portato molti brand e retailer a ripensare i canoni del settore e introdurre delle linee di abbigliamento più inclusive.
Continua nel prossimo post la disamina delle sfocature nella messa a fuoco dell'immagine da parte del nostro cervello.