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Se i vestiti potessero parlare

24/2/2021

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Riesci a immaginare cosa direbbero i vestiti se potessero parlare?
Evidentemente se lo deve essere chiesto Emily Spivack autrice del libro Worn Stories, una raccolta di storie di abiti.
Prima del libro è venuto il progetto, l’autrice aveva realizzato un sito web contenente istantanee degli abiti accompagnate dalla narrazione del proprietario.
Le storie narrate nel libro sono molto belle, alcune divertenti, altre toccanti e molto forti, altre ispiranti, in ogni caso ci insegnano come i vestiti possano diventare altro dalla moda e come cambiano quando li intrecciamo ai fili della nostra vita dandogli significati personali.
Se dovessi scegliere un elemento da fare parlare, sceglierei un accessorio, la collana della foto.
Mi è piaciuta subito, è stata uno dei primi acquisti fatti nel 2015 quando ho aperto il negozio.
Era in vendita ma per molti mesi nessuno l’ha acquistata, sembrava essere troppo corta o troppo lunga, troppo scura o troppo eccentrica, eppure io ne vedevo tutta la bellezza, allora mi sono decisa e l’ho presa per me. L’ho indossata e la indosso praticamente su tutto con abiti più rigorosi e con look più vivaci, in situazioni professionali e nel tempo libero. A furia di usarla ha ceduto in un punto, per ora sono riuscita a ripararla.
Ecco direi che contiene tante caratteristiche che mi piacciono: contraddizioni, versatilità, originalità e resistenza.
Se vuoi approfondire https://wornstories.com/
E dal 1aprile su Netflix è in arrivo una miniserie https://www.netflix.com/it/title/80240923
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Non mi rappresentano ma non riesco a liberarmene!

11/2/2021

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Nel mio guardaroba ho degli abiti che non mi rappresentano eppure faccio fatica a separarmene, proprio non ci riesco….

Questa è un'altra conversazione (dopo quella già vista qui) che mi è capitato di sentire più volte e ritengo che meriti una riflessione perché ciò che indossiamo è una parte importante della nostra identità, e se ci rendiamo conto che non ci corrisponde questo scollamento può diventare causa di frustrazione e malessere.
 
Partiamo dall’analizzare la dinamica alla luce di un assunto: quando indossiamo un determinato vestito e abbiamo una forte e consolidata credenza nel suo messaggio simbolico questo ci influenza nel comportamento e nell’umore.
Questo capita sia che l’abito sia nuovo (ho acquistato un vestito a pois che mi mette allegria solo a guardarlo, lo indosso e mi sento proprio così), sia che si tratti di un vecchio vestito che mi ha accompagnato in mille situazioni felici (questo per me è l’abito dello stare bene).
Questo fenomeno ce lo spiegano l’enclothed cognition e il concetto psicologico di “essenzialismo”, vale a dire un particolare modo di processare le informazioni che ci porta a identificare, in questo caso gli oggetti, con un’essenza sottostante che li influenza.
 
Alla luce di questi concetti si inizia a comprendere perché può esserci questa fatica a separarci da alcuni vestiti a cui siamo affezionati perché non soltanto ci ricordano bei momenti, ci ricordano persone e affetti importanti, ci ricordano parti di noi che riguardano il passato (es. quando portavo la taglia, quando lavoravo in... quando frequentavo il tal posto…) ma in essi riponiamo la forte convinzione che… ci permettano nuovi momenti felici, cia facciano sentire più vicino il tal affetto o ci permettono di riappropriarci di parti di noi che diversamente sentiremmo perdute.
A fare da collante tra noi e gli abiti c’è quindi da un lato l’essenza dell’oggetto e dall’altro il sentimento, che in alcuni casi è un sentimento di gioia e felicità, in altri è un misto di malinconia e speranza per quanto non c’è più nel nostro presente e ci si augura ritorni per il futuro, in altri potrebbe trattarsi di un senso di colpa  per non aver sfruttato abbastanza il tal vestito magari anche molto costoso o per il fatto che dato che mi è stato regalato da… mi sento in colpa a non tenerlo/indossarlo o mi sento in dovere di tenerlo/indossarlo.
 
Ad arricchire la questione secondo me c’è poi il fatto che in alcuni casi gli abiti di cui non riusciamo a disfarci li teniamo solo nel guardaroba senza indossarli, in questo modo occupano spazio nell’armadio ma magari non coprono la nostra personalità che sarà vestita da altri abiti, in altri casi pur ritenendoli non adatti li indossiamo lo stesso proprio per quel senso del dovere/di colpa che ci lega e in questo modo magari il nostro armadio è semi deserto e rischia di esserlo anche la nostra persona.
 
Dunque per riassumere, la questione “vestiti che non mi rappresentano” secondo me può riguardare armadi pieni e armadi scarni, sentimenti piacevoli e spiacevoli, conservare e indossare.

A questo punto, se ti ritrovi in queste parole, scendiamo nel pratico calando la teoria nel tuo guardaroba per realizzare una ConversAzione ovvero un cambiamento verso una nuova modalità di agire :
  • Seleziona i vestiti che ritieni non essere più rappresentativi di te e dai quali pensi e senti di non riuscire a separartene e vorresti farlo.
  • Individua il sentimento che fa da collante per ciascuno e che ti ostacola nel lasciarlo andare (es. mi dà tristezza perché mi sento in colpa dato che l’ho messo una volta sola, mi sento frustrata perché penso di essere in dovere di usarlo dato che me l’ha regalato …, mi dà gioia e mi mette allegria, etc.)
  • Dividi i vestiti in due gruppi, da un lato quelli che ti evocano sensazioni piacevoli, che chiameremo “top” dall’altro quelli che evocano sensazioni spiacevoli, che chiameremo “down”
  • Parti dal gruppo “top”, individua per ciascuno il messaggio/credenza che ci associ (es. è un porta fortuna, è un ricordo di …. quando lo indosso mi sento…., etc.).
    • Se sei solita indossarli chiediti se sono ancora in buono stato o se hanno bisogno di un restyle o di essere sostituiti con altri capi che possano assolvere la stessa funzione.
    • Se invece sono inutilizzati da diverso tempo chiediti se il loro valore giustifica il fatto di tenerli inutilizzati nel tuo guardaroba, potrebbe ad esempio essere un’alternativa sostituirli con altri oggetti che abbiano la stessa funzione (es. se “è un ricordo di” potresti arricchire le foto della persona in questione o se “è un porta fortuna” potrebbe esserci un altro oggetto che assolve quella funzione o potresti trasformarlo in modo da mantenere quell’associazione e continuare a usarlo). Nel caso decidessi che il valore ne giustifichi il mantenimento valuta di conservarli in un luogo separato dal tuo armadio perché dal mio punto di vista si tratta di oggetti che hanno perso la loro funzione di “vestito”, in questo modo avrai più spazio per inserire abiti che ti rappresentino.
  • Passa ora al gruppo “down”, questi abbiamo detto essere vestiti che non ti fanno sentire bene, secondo me richiedono un atto coraggioso di distacco emotivo e questo distacco passa anche dalla separazione fisica, hai presente il detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Se il tuo guardaroba te lo consente, perché hai anche altri abiti che invece ti piacciono, togli tutti quelli di questo gruppo, se invece il tuo guardaroba è quasi esclusivamente composto da questo gruppo parti da una selezione più piccola, separando quelli che maggiormente senti distanti da te calibrando la possibilità di acquistare una piccola capsule di abiti nuovi, e procedendo in modo graduale nella sostituzione. Per la scelta degli abiti che inserirai, trovi qui qualche riflessione su come osservarti durante lo shopping. Quanto agli abiti che decidi di non usare più, in prima battuta puoi semplicemente metterli in un altro luogo (scatolone che potrai riporre in una soffitta o cantina), quando sarai pronta potrai decidere a seconda delle loro condizioni se inserirli nel circuito del second hand, donarli, scambiarli, o altre soluzioni ancora.
 
Spero che la consapevolezza sul funzionamento della dinamica del “non riesco a separarmi” ti sia di aiuto per accompagnare il tuo distacco e far così spazio a nuove forme e colori che ti rappresentino e che ti rendano appagata e felice.
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