Si è trattato di capi che così com’erano confezionati non mi piacevano al 100% e così mi sono messa all’opera: un vestito con un corpetto un po’ démodé l’ho sdoppiato in un completo (gonnellone e gilet), un paio di bluse dalle maniche lunghe sono diventate delle canottiere, pantaloni eccessivamente larghi sono diventati vagamente scampanati e poi infine alcuni capi richiedevano delle riparazioni, qualcosa da stringere e qualcosa da accorciare.
Si trattava di capi che per un motivo o per l’altro stavano lì inutilizzati, bloccati, impediti nella possibilità di avere una funzione, un ruolo, una vita insomma.
Nel modificare e riparare mi è sembrato così di prendermi cura non solo dell’oggetto in sé ma anche della sua storia tra passato e futuro, tra limiti e possibilità, tra vecchio e nuovo, e ho pensato che anche quando sembra che il nostro fare cambi radicalmente forma a osservare da vicino le differenze anziché amplificarsi si offuscano perché viene fuori che un cambiamento c’è ma rimane confinato nel modo ma la sostanza resta.
Mi spiego meglio, un tempo partecipavo all’azione di modificare e in qualche misura aggiustare, solo che lo facevo in altro modo, i miei strumenti erano l’ascolto, le distinzioni, le domande, e con altra materia: i comportamenti, le emozioni i pensieri.
Oggi il mio modo sono le stoffe, i vestiti, le macchine per cucire, ma la sostanza è rimasta fedele ai suoi valori: partecipare alla realizzazione di un cambiamento con il fine di permettere a qualcosa di essere al meglio per il suo funzionamento.
Realizzarlo è stato importante perché ha acceso una luce su un filo conduttore, su un modo d’essere e sulle sue possibili declinazioni e questo, in una prospettiva più generale e astratta che non riguarda solo più me, apre spazi di riflessione sulle nostre moltitudini espressive sulla possibilità di tenere insieme parti che solo ad uno sguardo disattento appaiono diverse. Questo filo conduttore a questo punto comprendo che non serve tanto a rassicurare sul fatto che siamo sempre noi, quanto a liberarci dall’idea che dobbiamo essere sempre uguali per esserlo.
E forse è proprio questo che ci tiene integri, anche nelle trasformazioni, non il rimanere sempre gli stessi, ma il cambiare forma rimanendo della stessa sostanza, proprio come quel vestito démodé che non mi convinceva troppo ma che sdoppiato e ricucito è diventato un completo nuovo ma con la stessa stoffa di sempre.