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Quando sei ben vestita facci caso!

23/10/2024

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Parafrasando la citazione dello scrittore Kurt Vonnegut Quando sei felice facci caso, mi viene da dire quando sei ben vestita facci caso.
Intendo con ben vestita sia il lato estetico, sia il lato della soddisfazione emotiva e fisica, che si tratti di comfort, di leggerezza, grinta, etc.
Quando proviamo piacere rilasciamo dopamina, l’ormone della felicità e del benessere, nel 2020 la psicologa Dawnn Karen nel suo libro Dress your best life ha coniato il termine dopamine dressing per indicare quei capi che mettono buon umore in relazione ai colori energici e vitaminici.
Il farci caso consente di avere consapevolezza di cosa funziona per noi per poterlo così poi replicare al bisogno.
Per acquisire questa abitudine ti propongo alcune strategie, a te la scelta di quella che senti più tua:
  • Foto daily: con questa modalità ti propongo di fissare l’outfit che ti piace e ti fa stare bene con una foto, se vuoi raggiungere un livello pro puoi modificare la foto scrivendo qualche parola o aggiungendo delle immagini che registrino il motivo della soddisfazione, foto dopo foto avrai il tuo look book personale sempre a portata di mano sul tuo smartphone per ricaricarti e ispirarti;
  • Style app: puoi usare delle app di moda per comporre gli outfit che ti sono piaciuti e ti hanno fatto stare bene, attraverso l’app potrai fotografare i singoli capi del tuo guardaroba e comporre gi outfit che per te rappresentano il dopamine dressing, in questo modo li avrai a portata di app per poterli replicare e indossare la bisogno;
  • Diario outfit: se preferisci le parole alle immagini puoi tenere un libricino, un piccolo diario, nel quale puoi annotare gli outfit della felicità, dilungarti in una descrizione più articolata sul cosa, come e perché, in modo da aumentare ancor di più il livello di consapevolezza sui loro poteri.
E infine una suggestione generale: ogni giorno davanti al guardaroba domandati di cosa hai bisogno e prendi da lì gli ingredienti per il tuo benessere, fai lo stesso quando fai shopping.

Approfondimenti
  • Dawnn Karen, Dress Your Best Life: How to Use Fashion Psychology to Take Your Look, and Your Life, to the Next Level, 2020.
  • App per Outfit di Salvatore Aranzulla
  • Di benessere e guardaroba ne avevo già scritto qui

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Stile & Autostima

15/5/2024

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Stile e autostima sono le parole impresse su una vetrofania del negozio dal settembre del 2015. Ho sempre  pensato che sarebbe stato davvero fantastico poter colmare le mancanze della dimensione interiore con un rimedio che potesse essere assunto dall’esterno, e ancor di più entrare in un negozio ed esordire con: “buongiorno, mi dà due etti di autostima, anzi no faccia mezzo chilo e aggiunga un etto di stile”.
Le parole stile e autostima portate in un negozio credo che abbiano alla base questo mio desiderio: offrire per la dimensione interiore, per l’autostima, convenzionalmente accresciuta con un lavoro dal di dentro,  un rimedio dal di fuori, qualcosa di immediato, facilmente accessibile e  fruibile che potesse bastare in sé, o essere il punto di partenza per un percorso più articolato e profondo.

Sullo stile il discorso è più o meno analogo, anche su questo esiste una convinzione diffusa e un po’ semplicistica che lo stile sia innato, che o lo si ha oppure no, creando una distorta corrispondenza tra stile ed eleganza, stile e classe, mentre invece lo stile è l’insieme delle nostre caratteristiche che racconta come stiamo e dove siamo, racconta di ciò che ci domina di momento in momento, dei compromessi e dei comportamenti che ci sembrano più adattivi, di ciò che ci sembra opportuno o meno, di ciò che riteniamo di dover fare, di ciò che riteniamo gli altri si aspettino.
Lo stile è il risultato messo in immagine di credenze, inclinazioni, ipotesi, presunte aspettative, quindi potrà essere elegante, di classe, raffinato ma anche frustrato, arido, protettivo, trasandato. La faccenda interessante è come far sì che racconti quello che ci interessa, quello che ci piace, quello che ci fa un buon servizio.

Il  mio desiderio è stato esaudito dalla formulazione dei principi dell’enclothed cognition.
Perché se non c’è dubbio che il lavoro interiore, che passa dalla accettazione di sé, dalla consapevolezza delle proprie risorse, da relazioni supportive, sia la via maestra per accrescere la propria autostima e creare le condizioni per l’espressione di un stile gradevole,  è anche vero che gli  abiti hanno dei poteri, con il loro impatto simbolico migliorano la percezione di sé, possono infondere caratteristiche di personalità e definire uno stile affascinante.

L’apertura del negozio è avvenuta in questo scenario e con queste premesse, un contesto in cui prodotto e servizio si fondono per lavorare sullo stile a tutto tondo, gli abiti sono interpretati come nudge, spinte gentili, verso un rapporto più disteso e compiaciuto con la propria immagine con ricadute positive sulla propria autostima.

Riprendo un piccolo breviario sullo stile e l’autostima, tratto dal primo articolo del blog, era il 2019.
“Se lo cerchi sul dizionario abito deriva da habĭtus, può significare un modo di essere, un comportamento, una disposizione dell'animo e del fisico: è tutto ciò che siamo soliti avere con noi e portarci dietro continuamente. Di qui i suoi derivati, abituale, abitudine, abituare.
Risultano immediate le sue implicazioni sull'immagine, che esibiamo abitualmente attraverso lo stile, e sulla nostra autostima attraverso i pensieri, le opinioni e le convinzioni che abitano la nostra mente.
In definitiva gli abiti che scegliamo di indossare, d'abitudine ogni giorno, per vestire le nostre forme ed i nostri pensieri diventano il nostro stile prevalente e alimentano la nostra autostima.
Di qui la mia convinzione profonda dell'importanza di porre attenzione alla qualità dei nostri abiti. Qualità da ricercare a partire dalla stoffa, passando poi dal modello, e infine dal colore e questo vale per gli abiti che vestono le forme e quelli che vestono i pensieri.
Per coltivare il tuo stile occorre innanzitutto dotarti di buone stoffe: fibre naturali che non siano nocive per la tua salute, e poi di modelli, forme e colori che ti valorizzino nell'aspetto, sostenendoti al tempo stesso nelle tua intima essenza e dando grinta ed energia alle tue aspirazioni.
E per la tua autostima allo stesso modo occorre che tu ponga attenzione alla stoffa dei tuoi pensieri, mi riferisco alle parole che scegli nel tuo quotidiano: non trascurare di usare quelle a valenza positiva, conta sull'intera gamma dei colori, specie quelli vivaci e accesi, quanto al confezionamento crea un buon equilibrio tra forme spigolose e linee curve nelle tue conversazioni.
Infine resisti alla tentazione di indossare dentro e fuori quanto non ti si addice per modello, colore, taglia, foggia e cerca, cerca ancora!”.

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iNDOSSA-TI

20/5/2021

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In questo periodo, per diverse ragioni, sto raccogliendo materiale sulle idee di scenario futuro del settore moda e di come ci si vestirà post-pandemia e sto maturando l’idea che gli stilisti siano un po’ maghi.
In un certo senso, con il loro lavoro, creano di stagione in stagione la versione di chi saremo.
Attraverso le forme ed i colori che con l’anticipo di un anno per l’altro scelgono per le loro creazioni definiscono i messaggi che con maggiore frequenza troveremo in circolazione e gli input che i nostri cervelli potranno elaborare per farci sentire certe emozioni piuttosto che altre. Questo ci spiega la “cognizione vestita”, che le forme ed i colori pervadono i nostri cervelli, che reagiranno di conseguenza: un tessuto rigido sarà un invito a stare più dritti, una morbida lana ad accoccolarsi al suo interno, un vestito sartoriale a ragionare in modo più astratto, un abito casual ad essere più pragmatici, un colore profondo ad avere uno sguardo interiore, tutti elementi raccolti dalla psicologia e dalle neuroscienze per spiegare gli effetti degli abiti sul nostro comportamento.
Mi chiedo se di questo potere, di contribuire cioè a presentificare le condizioni che esperiremo, ne sono consapevoli gli stilisti, in quest’ottica non si tratta di preoccuparsi di come appariranno  i loro vestiti ma soprattutto di come ci  staremo dentro e di chi saremo indossandoli.
I designer, più che rispondere al mondo che ci circonda,  secondo me concorrono a crearlo, con il loro lavoro costantemente proiettato nel futuro.
A noi poi il compito di “indossarci”, selezionando quello che più ci corrisponde tra l’offerta a disposizione per rappresentarci nel nostro “essere” che comprende chi siamo (il nostro sé), chi possiamo essere (le nostre potenzialità), chi vogliamo essere (i nostri desiderata) e via a seguire.
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Fatti di parole

5/6/2020

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In un articolo di Paolo Borzacchiello «Comunicazione interpersonale dopo la pandemia» sul Sole 24 ore ho trovato interessanti riflessioni sul ruolo delle parole che usiamo e dell'abbigliamento nelle nostre interazioni, ai tempi della pandemia, e di come l' embodied cognition e l'enclothed cognition possano aiutarci da un lato a spiegare determinati fenomeni, dall'altro a gestirli.
Ad esempio l'autore cita la comunicazione capo collaboratore, oggi così mediata dal mezzo digitale, e la possibilità di migliorarla attraverso le metafore della cognizione incarnata che ci insegna che il nostro cervello trasforma le parole in sensazioni.
Nell’articolo l’autore riporta la seguente casistica “dire a un collaboratore, ad esempio, che noi lo accompagneremo passo-passo in questo percorso di ripresa e che gli saremo vicini, sempre pronti a tendergli la mano, attiva nel suo cervello specifiche aree e altrettanto specifiche reazioni fisiologiche, proprio come se quella mano noi gliela tendessimo davvero”.

Da questo ragionamento ne deriva, seguendo gli spunti della cognizione incarnata, che per il grande uso che stiamo facendo del lavoro da casa, dove visivamente quello che abbiamo costantemente sotto gli occhi sono monitor e devices e per il fatto che quando andiamo nei negozi o presso uffici abbiamo sotto gli occhi divisori, pannelli, totem di sanificatori, abbiamo bisogno di oggetti e di metafore linguistiche che facciano da alter ego e bilancino la situazione.
A proposito di parole l’autore nell’articolo suggerisce termini quali: solide fondamenta, caloroso benvenuto, stabilità, duraturo, consistente.  
A proposito di oggetti, un’amica e collega mi ha segnalato un’azienda, Flowmarket, che ha creato dei prodotti con stampata una specifica parola, per materializzare i nostri bisogni più intangibili e servire da ispirazione per la riflessione e il miglioramento, per i proprietari e l'ambiente circostante.
Durante la pandemia ha creato una speciale collezione con parole ad hoc per stimolare un clima più favorevole, la trovi qui.

Ma non sono solo monitor, pannelli, sanificatori i protagonisti del nostro ambiente, noi stessi quotidianamente indossiamo mascherine e guanti. Sempre nell’articolo del Sole 24 ore, l’autore porta a riflettere sulle sensazioni di diffidenza, insicurezza e sui ricordi di strutture sanitarie e di malattia che attivano con effetti sulle relazioni sociali.
Questo fenomeno ormai iniziamo a conoscerlo ha il nome di enclothed cognition e riguarda l'effetto degli abiti sul nostro comportamento ed è per questo la utilizzo come logica nel confezionamento degli abiti (ne parlo anche qui).
A giudicare dalla larga diffusione di mascherine di diverse fogge e colori mi viene da dire che il commercio dell’abbigliamento contribuisca a riequilibrare la situazione rendendo più leggero, giocoso e anche un po’ fashion l’obbligo imposto.
​
Per concludere ritengo che lo strumento che possa sostenerci nel prosieguo di questo periodo, e che per me è lo stesso che rende la mia qualità della vita migliore riguarda le parole, da scegliere consapevolmente e con cura per dar voce ai pensieri, agli oggetti dei propri ambienti e ai vestiti del proprio guardaroba.

Approfondimento
Comunicazione interpersonale dopo la pandemia di Paolo Borzacchiello su Il Sole 24 ore
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L'algebra cognitiva e la rivincita della ciabatta

1/5/2020

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Mai come in questo periodo abbiamo sperimentato il lavoro da casa, ci viene richiesto di adattare le nostre abitazioni e i nostri abiti a nuove routine.
Ci si alza la mattina non più preparandosi per varcare la soglia di casa, bensì per varcare altri ambienti connettendosi tramite conference call facendo arrivare la propria immagine a blocchi e rare volte nella sua completezza.
Mi sono chiesta allora come ci viene naturale comportarci nella scelta dell’abbigliamento e se ci curiamo da capo a piedi.
Alcuni di noi avranno bisogno di vestirsi di tutto punto per iniziare la giornata, indipendentemente che siano previste o meno attività di interazione via web, altri cureranno eventualmente solo la porzione visibile in caso di contatto web, poi a seconda del livello di confidenza, della relazione, della tipologia di attività sarà curato il grado di formalità dell’abbigliamento.
Quello che mi colpisce è che anche quando ci vestiamo di tutto punto, c’è un confine che pochi varcano: la scarpa!
In pubblico, in generale, facciamo fatica a togliercele e a casa, parlo sempre in generale, facciamo fatica a metterle.
Credo che sia di molti la sensazione di stranezza nell’indossare giacca (o comunque un abbigliamento formale) e ciabatta insieme.
C’è una spiegazione neuro-scientifica per questo, si chiama algebra cognitiva che è quel particolare modo di funzionare del nostro cervello che: somma tutte le informazioni che creano coerenza con una situazione e sottrae i segnali contraddittori per arrivare ad una visione complessiva.
Di solito ci vestiamo “per uscire” e teniamo le ciabatte il tempo necessario per prepararci, il nostro cervello si aspetta che dopo esserci prepararti per benino, magari mettendo anche il make-up, i bijoux e un po’ di profumo arrivi il momento della scarpa, invece, in questo periodo, lei sfugge a questa logica.
Spinta dalla curiosità mi sono confrontata con amici e colleghi e ho posto questa domanda a una quindicina di persone chiedendo: “durante i collegamenti web che fai in questi giorni quando ti vesti in modo più formale hai le scarpe o le ciabatte”? Le risposte arrivavano una dopo l’altra: ciabatte, ciabatte, ciabatte….
Come è presumibile che sia la risposta è stata: beh nessuno vede se ho le scarpe o le ciabatte…. certamente lo comprendo e poi è una questione di igiene hanno detto in molti, comprendo anche questo.
In questi giorni anche io lavoro parecchio via web ma il contesto è informale, non ho la necessità di mettere la “giacca”, una blusa, un pullover, un paio di jeans vanno benissimo e il fatto di stare scalza non mi crea problemi, mentre devo dire che se indosso le mie pantofolone morbide verdi, noto che quando sono connessa e abbasso gli occhi mi viene da ritrarre i piedi, quasi a nasconderli, lo so non le vede nessuno ma il mio cervello reagisce.
Ho allora fatto una piccolo esperimento tenendo per  un’intera giornata le scarpe, una specie di mocassino comodo, la sensazione principale è stata di stranezza a muovermi in casa con le scarpe, forse un po’ per l’igiene, un po’ il sentire il piede chiuso, nella pausa pranzo mi sono sorpresa a mettermi le ciabattone verdi  e quando abbassavo gli occhi  ed ero collegata e indossavo i mocassini non ritraevo i piedi, arrivata a fine giornata mi sono tolta le scarpe e la sensazione è stata come se davvero avessi finito di lavorare, di essere in un altro spazio.
In definitiva usare le scarpe mi ha permesso di “rientrare” a casa dopo una giornata di lavoro.
Questi fenomeni vanno sotto il nome di embodied cognition (cognizione incarnata - ne ho parlato anche qui) ed enclothed cognition che ci spiega come il corpo pensi, tragga delle conclusioni, ci faccia agire e ci condizioni, anche tramite le sue estensioni (in questo caso l'abbigliamento).
Nel fatto di non mettere le scarpe in casa oltre ai fattori igienici che fanno la loro parte, vince secondo me la coerenza nell’algebra cognitiva che vede la casa come il privato, come il luogo di espressione di sé, di libertà, relax e comfort, che ci fa dire: ok posso arrivare fino ad un certo punto ma questo è troppo e non serve.
L’esperimento mi ha fatto capire che forse invece a qualcosa serve, ad esempio a creare una coerenza diversa, dando più spessore alla sfera lavorativa, a creare un confine tra dentro e fuori che diversamente, in questi giorni che siamo sempre dentro a lavorare, è precluso, a creare dei break intermedi godendone di più (l’esempio della pausa pranzo).
In definitiva c’è qualcosa di giusto o sbagliato in tutto questo, naturalmente no, ci sono diverse modalità di funzionamento che hanno priorità diverse e come sempre secondo me l’importante è conoscere le proprie di momento in momento.
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L'abito giusto al momento giusto

31/3/2020

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​Hai mai pensato a quante volte ti cambi d'abito in una giornata?

Di solito ci si veste la mattina per andare al lavoro, poi può capitare nell'arco della giornata di cambiare l'abito perché si va in palestra, o in piscina o a correre, poi magari si va ad un aperitivo e si cambiano solo le scarpe e poi tornando a casa si mettono abiti più comodi, si tolgono le scarpe e infine ci si cambia per andare a dormire.

Ogni cambio definisce un nuovo modo di essere, ed è dettato sicuramente dal fatto che ogni attività richieda una tipologia di abbigliamento consona ma a mio parere questo non è sufficiente, occorre spingersi un po' più in là.
Per fare attività fisica non è sufficiente mettersi una tuta basta che sia, secondo me è importate che il capo sia adatto all'obiettivo che l'attività si propone.
Per esempio se ti cambi per andare a correre e il tuo obiettivo è prepararti per una maratona il colore rosso o il nero ti daranno più carica e grinta, se corri per svagarti e far scivolare i pensieri, il rosa e il blu ti renderanno più serena e rilassata.
Se vuoi dimagrire e ti metti una tuta troppo larga il tuo aspetto e tuoi movimenti saranno più goffi.
Insomma cambiare d'abito permette di entrare nella parte agendo nel modo più efficace.

Questo principio vale ancor di più in questo periodo nel quale siamo prevalentemente nello stesso ambiente, vale a dire in casa e la tendenza è di tenere lo stesso abbigliamento tutta la giornata.
Non condivido l'opinione di vestirsi a casa come se si dovesse uscire, seguendo il ragionamento di sopra penso che l'abbigliamento debba seguire le nostre attività e gli obiettivi connessi.
Se quindi sono in smart working, allora credo che "vestire da lavoro" mi faccia agire più efficacemente che rimanere in tuta, se poi mi prendo una pausa per fare un workout, mettermi il mio abbigliamento da palestra preferito, e non semplicemente calzettoni e un pantalone pur che sia, credo me lo faccia godere di più e mi faccia lavorare in modo più intenso, se poi a fine giornata cucino, perché non indossare un bel grembiule che mi faccia sentire una chef.
Questo è il potere dell'Enclothed Cognition: gli abiti non ti fanno soltanto apparire in un certo modo ma ti fanno agire in quel modo!
​
Allora la prossima volta che inizierai un'attività (lavoro, sport, hobby) pensa anche all'abito giusto per l'occasione: quello che ti consente di fare il tuo meglio e lo farai.
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Enclothed Cognition & Armocromia nel confezionamento dei nostri abiti

23/2/2019

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Hai mai pensato a come ti fanno sentire gli abiti del tuo guardaroba?
Un esercizio che trovo molto utile è tenere per alcuni giorni, almeno una settimana, un diario nel quale annotare le sensazioni che provi indossando i tuoi abiti, mettendo nero su bianco: la tipologia degli abiti (in termini di tessuto, colore, foggia, tipologia di indumento), contesto di utilizzo, sensazione provata nell’arco della giornata, attribuendo anche un valore numerico (da un valore che indichi per niente a mio agio, fino a super agio) per fare poi una valutazione di sintesi alla fine della settimana e tirare delle prime conclusioni: cosa ti ha fatto sentire bene? Cosa ti ha dato efficacia, agio ed energia? Cosa te le ha tolte? Qual è il tuo approccio alla scelta degli abiti?
La finalità è quella di comprendere cosa tenere e cosa lasciare andare,  o quanto meno mettere temporaneamente in stand by, per massimizzare il tuo benessere.
Diversi studi psicologici hanno dimostrato come la scelta di ciò che indossiamo ha effetti sul nostro atteggiamento. L’enclothed cognition (disciplina che analizza l’effetto degli abiti sui processi cognitivi) afferma che il giusto abito può renderci più forti e può farci perfomrare al meglio. Hajo Adam e Adam Galinksy hanno spiegato in un loro studio (sull’ormai famoso esperimento del camice bianco) che a certi capi diamo un valore simbolico e quando li indossiamo non soltanto appariamo in un certo modo ma ne assumiamo anche le caratteristiche, comportandoci coerentemente con il significato.
Questa influenza dell’abbigliamento sulla dimensione cognitiva mi affascina molto, nel tempo ho imparato ad apprezzare anche  l’influenza che gli abiti hanno sull’aspetto, soprattutto a seguito di una formazione sul tema dell’armocromia.
Si tratta di una disciplina nata agli inizi del secolo scorso, dalle prime elaborazioni di Johannes Itten che ne pose le basi nel suo testo L’Arte del Colore, portata in auge negli anni ’70 da Carole Jackson, nel suo libro Colour Me Beautiful, con un sistema a 4 stagioni che si sono arricchite e moltiplicate arrivando ai nostri giorni a 16, 20 o più.
Il valore che riconosco a questo strumento è di permettere, attraverso l’analisi di alcuni indicatori e per mezzo di prove con drappi colorati, di individuare i colori che per temperatura, valore, contrasto e intensità, si armonizzano al nostro aspetto e lo migliorano.
Ho pensato che queste due risorse, Enclothed Cognition e Armocromia, potessero essere utilizzate per sostenere il nostro guardaroba e mi impegno ad utilizzarle per realizzare i capi PersonAtelier.
Nella scelta dei colori l’attenzione è quella di garantire una varietà tra tonalità calde e fredde, obiettivo non semplice perché soprattutto negli stampati i colori caldi e freddi si mescolano. Gli stampati poi sono selezionati per offrire la possibilità di comunicare, verso l’esterno e verso l’interno, diversi messaggi coerentemente con il lessico dell’abbigliamento.
Infine per dare concretezza al processo, accompagnano l’abito un cartellino che ne descrive l’intenzione, in termini di significato del colore, della foggia, del tessuto e dello stampato e una targhetta con una parola che racchiude e sintetizza l’intenzione.
Oltre ai capi, alcuni prodotti, ad esempio le pochette per il make-up, sono stati realizzati con tessuti personalizzati con un disegno ideato ad hoc.
I primi capi completi di questa dotazione li trovi in negozio da metà marzo, potremo costruire insieme la tua comunicazione autentica e consapevole in fatto di identità e immagine.


Il confezionamento dei capi è a cura di Gelso Sartoria Sociale, le targhette con la parola "intenzione" sono realizzata da ArkyFly e l’illustrazione delle stoffe è stata ideata e realizzata da Gusci Artigianato Illustrato.
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Mabel e l'abito giallo

8/2/2019

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Ti starai chiedendo chi sia Mabel, ebbene ho fatto la conoscenza di questo personaggio leggendo "L'abito nuovo", si tratta di un racconto breve contenuto ne“La Signora Dalloway in Bond Street e altri racconti” di Virginia Woolf.
Mabel è una donna sulla quarantina che viene invitata ad una festa, dalla signora Dalloway per l'appunto, e dopo varie esitazioni sulla partecipazione decide per un sì e segue il travaglio, è proprio il caso di dirlo, per la scelta dell'abito da indossare.
Opterà per un vestito sartoriale che giudica originale e che si rivelerà causa di tormento durante il party.

Mabel si era sentita bella provando il vestito che Miss Milan stava confezionando per lei per la festa di Clarissa Dalloway. Quando un giorno all'ora del tè, era arrivato l'invito della signora Dalloway, Mabel aveva pensato che certo lei non avrebbe potuto essere alla moda, assurdo illudersi, moda voleva dire taglio, voleva dire stile, tutte caratteristiche che non le appartenevano, ma perché non essere originale, perché non essere se stessa? Così aveva preso un vecchio libro di moda di sua madre, scegliendo un vestito con gonna lunga, maniche alte e corpetto che aveva fatto confezionare in seta in un pallido giallo. Quando si era guardata allo specchio del laboratorio con il vestito finito addosso Mabel fu colta da beatitudine, ammirazione e amore verso di sé. ... Poi, nel salotto di Clarissa Dalloway tutto svanisce, quel senso di beatitudine, amore verso di sé e gioia viene totalmente distrutto, smascherato, annientato e lascia il posto ad un rimuginio mentale fatto di angosce, dubbi e mortificazioni tanto da paragonarsi ad una mosca che cerca di trascinarsi ai bordi di un piattino mentre gli altri sono libellule, farfalle, splendidi insetti danzanti, palpitanti e leggeri. Mabel si chiede perché non possa avere sempre lo stesso sentimento, senza lasciarsi sbattere tutt'attorno solo per essere entrata in una stanza piena di gente.
Testo tratto e riadattato dal racconto "L'abito nuovo" contenuto ne “La Signora Dalloway in Bond Street e altri racconti” di Virginia Woolf.
 


Cosa mi sono portata a casa da questo racconto?
  • La distinzione tra originale, strano e personale: Mabel dice "ma perché non essere originale, perché non essere se stessa".
    Mi è capitato, in alcune occasioni, di confondere l'originalità e la stranezza con il bello e per me è stato un abbaglio perché nel tempo ho compreso che originale non è tout court bello e nemmeno personale. Quello che ti consiglio allora è più che ricercare l'originalità o l'unicità in un vestito o in un accessorio ricerca ciò che ti corrisponde. Per farlo focalizzati sulle tue caratteristiche e distintività domandandoti: Cosa mi caratterizza nell'aspetto e nella dimensione interiore? Cosa fa di me quella che sono? Cosa, se venisse a mancare, non mi renderebbe più me?
  • Il ruolo della preoccupazione e dei nostri film mentali: Mabel, durante il party, è paralizzata dai suoi pensieri severi e duri che la sbeffeggiano, la isolano e la mortificano impedendole di godersi la festa. Forse non a quei livelli ma credo capiti a molti di noi, in alcune circostanze, di sentirsi inadeguati. 
    Quello che secondo me aiuta in queste situazioni, quando il pensiero diventa assoluto e le opinioni diventano fatti, è un'incitazione a non credere a tutto quello che pensiamo. Se ti dovesse capitare di restare bloccata in scacco ai tuoi pensieri prova a mettere in discussione le prime opinioni dicendoti: "ok questa è una versione, ci sono altre versioni più utili per me?" riconoscendo che i pensieri sono nostri prodotti e come li abbiamo creati li possiamo spegnere e sostituire. Come per tutte le cose ci vuole allenamento!
  • La giostra emotiva della nostra autostima, ovvero le oscillazioni del nostro valore tra pubblico e privato: Mabel si era accuratamente preparata per la festa e davanti allo specchio nella sartoria di Miss Milan ha visto, anche solo per un istante, la sua bellezza che poi annulla nel salotto della signora Dalloway in cui si espone allo sguardo degli altri inviati: "Tutto era stato assolutamente distrutto, smascherato, annientato, al momento in cui aveva fatto il suo ingresso nel salotto della signora Dalloway” scrive la Woolf.
    Se anche a te capita di salire su questa giostra quello che ti suggerisco di fare è di mettere il silenziatore all'ideale di chi dovresti essere o potresti essere per aumentare il volume di chi sei e delle tue qualità. Non fraintendermi, visualizzare chi vuoi essere è un'attività molto energizzante e potente se fatta nei giusti modi, spazi e tempi, ma trovo che sia improduttiva quando si traduce in un confronto fine a se stesso o peggio ci mortifica.
  • L'importanza dell'abito: ebbene oggi sappiamo che gli abiti hanno dei poteri, io dico che possono raccontare, rivelare, rinforzare. Nella scelta di un abito per un'occasione importante la domanda se ciò che stiamo indossando esercita su di noi questi poteri credo sia importante porcela. Vale a dire: questo abito mi racconta, parla di me, delle mie caratteristiche e della mia essenza? Rivela la mia bellezza? Rinforza il mio benessere, il mio atteggiamento, il mio senso di agio?
​Spero che qualcuno di questi spunti possa essere utile anche a te per vestirti dentro e fuori per prenderti cura del tuo stile e della tua autostima.
Se ti va fammi sapere cosa ne pensi, a presto!
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