Ebbene, trovo che nei suoi Diari Kafka (alcuni stralci in fondo all'articolo) abbia raccontato benissimo le inquietudini che si possono provare di fronte alla propria immagine. Quelle inquietudini che in misura diversa possono essere le nostre e che raccontate dall'esterno, come riflesse da uno specchio, possono esserci d'aiuto per modulare effetti e azioni su di noi.
Ed ecco cosa arriva dal racconto che Kafka fa di sé:
- percezione di essere mal vestito (mi accorgevo beninteso, ed era molto facile, che ero vestito malissimo),
- il senso di esclusività e soggettività negativa (ero convinto che gli abiti assumessero soltanto addosso a me quell'aspetto),
- l'impossibilità e la non volontà di cambiare (non chiedevo abiti nuovi.... evitare di presentare... la bruttezza dei nuovi)
E ancora ci mostra il collegamento tra abbigliamento e postura (assecondavo gli abiti brutti anche con il mio comportamento, camminavo con la schiena curva, le spalle sbilenche....) e il disagio davanti allo specchio percependosi brutto (avevo paura degli specchi, perché mi mostravano in una bruttezza, secondo me, inevitabile).
Infine il collegamento che propone tra dentro e fuori (se avrò un avvenire tutto si sistemerà automaticamente) facendo intendere che il successo dato dalle sue qualità personali, avrebbe messo a posto, compensando, spostando il focus, o chissà come, la questione immagine.
Trovo dolcemente triste l'uso che fa del futuro: non crede che le cose andranno così, tuttavia pensare all'opzione di un avvenire gli rende più affrontabile la quotidianità del presente....
Noi sappiamo bene la levatura del personaggio e di quello che ci ha consegnato eppure lui non la vedeva, e se guardiamo le sue foto (una a fondo pagina) certo non useremo le sue parole per descriverlo, eppure...
Di qui la domanda che propongo nel titolo "Ma come ti vedi?" Tutto il resto è una conseguenza.
Trovo sempre affascinante l'analisi delle cause, ma qui, utilizzando gli spunti del racconto, mi voglio soffermare sugli effetti.
Quando diventiamo severi giudici di noi stessi etichettandoci negativamente il compito che deleghiamo all'abbigliamento è quello di coprirci per nasconderci, disinvestiamo sulla nostra immagine, l'apparire divenuta qualcosa di frivolo, superficiale, mentre la nostra interiorità qualcosa di salvifico. Così dentro e fuori, assumono pesi differenti, l'immagine va in secondo piano, oppure le due dimensioni diventano antagoniste anziché alleate.
Pensando al modello delle stagioni interne, questo modo di pensare è tipico della stagione Inverno che tende ad usare l'abbigliamento come protezione, per ingentilire un po' la sua posizione dovrebbe mettersi le lenti della stagione Primavera che vede l'abbigliamento come libera espressione, gioco e divertimento.
Allora per l'effetto del potere dell'abito di rinforzare, quando diventiamo severi giudici potremmo partire dall'attingere dal guardaroba primavera e dal suo stile, muovendoci da dentro a fuori e viceversa per iniziare un cambiamento nel modo di vederci.
Dai Diari di Kafka
Mi accorgevo beninteso, ed era molto facile, che ero vestito malissimo e notavo se altri erano vestiti bene, salvo che il mio pensiero non riuscì per parecchi anni a trovare la cagione del mio miserevole aspetto in quegli abiti. Siccome già allora ero avviato, più con la fantasia che in realtà, ad avere poca stima di me, ero convinto che gli abiti assumessero soltanto addosso a me quell'aspetto dapprima rigido come una tavola, poi cascante a pieghe. Non chiedevo abiti nuovi perché, se proprio dovevo essere brutto, volevo almeno star comodo e, oltre a ciò, evitare di presentare al mondo, che aveva fatto l'abitudine agli abiti vecchi, la bruttezza dei nuovi… (31 dicembre, Diari 1911)
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Perciò assecondavo gli abiti brutti anche col mio portamento, camminavo con la schiena curva, con le spalle sbilenche, braccia e mani impacciate: avevo paura degli specchi perché mi mostravano in una bruttezza, secondo me, inevitabile che d'altronde, non poteva essere rispecchiata conforme a verità. Poiché, se proprio avessi avuto quell'aspetto, avrei dovuto suscitare anche più grande scalpore; e durante le passeggiate domenicali accettavo da mia madre leggeri spintoni nella schiena e troppo astratti ammonimenti e profezie che non riuscivo a mettere in rapporto con le mie preoccupazioni di allora… (2 gennaio, Diari 1912)
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Volendo, potevo bensì camminare ritto, ma mi stancavo nè riuscivo a figurarmi perchè il portamento curvo dovesse danneggiarmi in avvenire. Se avrò un avvenire, tutto, immaginavo, andrà a posto da sé. Un siffatto principio non era scelto perché contenesse la fiducia in un futuro della cui esistenza non ero persuaso, ma aveva piuttosto lo scopo di facilitarmi la vita: di camminare, di vestirmi, di lavarmi, di leggere, soprattutto di chiudermi in casa, la qual cosa mi procurava la minor fatica e richiedeva il minor coraggio … (2 gennaio, Diari 1912)