In altro luogo: essere, trovarsi, abitare.
E ancora: luogo che simboleggia l'assenza dell'empirico, del quotidiano, del banale e che richiama un desiderio o una speranza di fuga.
Questi i principali significati presi dal Dizionario per questo avverbio.
Agosto è stato questo per me, un essere, un abitare in altro posto dal mio quotidiano, e questo ha portato necessariamente come effetto il misurarsi con la diversità: attività diverse, tempi diversi, luoghi diversi, persone diverse e abiti diversi e questo senza andare dall'altra parte del mondo, ma solo in un'altra regione.
Il tempo scandito dagli orari del negozio ha lasciato il posto ad un tempo libero non programmato, il solito panorama cittadino ha lasciato posto al verde e al mare e così anche gli abiti si sono accorciati e alleggeriti.
Quello che ogni volta mi colpisce, quando viaggio, è il fattore "contesto-dipendente", vale a dire: ciò che è "normale" e quindi meglio accettato ed opportuno in un certo contesto, in un altro non lo è allo stesso modo. Qui mi soffermo sull'abbigliamento ma direi che vale un po' per tutto.
Il vestirsi di più o di meno e in differenti modi, risulta "normale" e "appropriato" in certi perimetri e non in altri.
In spiaggia, ad esempio, è "normale" stare in costume, ed è "strano" rimanere vestiti, ma via, via che lasciamo quel perimetro le regole si invertono, sulla passeggiata ci sembra ancora ok stare in costume ma meglio aggiungerci un pezzo e, ancora, se ci spostiamo un po' ci fa strano se non siamo completamente vestiti, e così il comune senso del pudore si allarga e si restringe, dalla battigia al centro cittadino.
E questo mi ha fatto pensare alle conseguenze del contesto sul rapporto con il proprio corpo e in generale sull'apertura mentale.
Prendiamo ad esempio il vivere in un ambiente caldo che, in generale, porta a svestirsi di più, avendo così il corpo più alla nostra vista. E dato che questo comportamento, in quel luogo, lo adottano quasi tutti, quella diventa la "norma", lo "standard" che potrà essere per ciascuno rimodulato rispetto al proprio sé.
In ogni caso questa condizione secondo me ci permette di familiarizzare e normalizzare il rapporto con la nostra immagine, limitando il giudizio molto di più che in un contesto nel quale il corpo rimane più coperto.
Su di me ho osservato che dove vivo, in una città, quando fa caldo indosso quasi sempre pantaloni lunghi, gonne e abiti lunghi, tutto leggero ma lungo, al mare il mio abbigliamento si accorcia, e questo perchè la maggior parte delle persone fa lo stesso, ma quando ritorno in città, ritorno al mio standard. Questo naturalmente dipende da quanto ciascuno di noi è sensibile all'esterno, ed io lo sono.
In ogni caso, dopo queste riflessioni mi chiedo come poter agire su quel perimetro di cui parlavo prima, quando da geografico diventa mentale fino a creare dei veri e propri tabù facendoci perdere in accettazione e autostima.
Credo che come sempre il punto di partenza sia la consapevolezza, il fatto di rendersi conto di quanto il contesto, nel bene e nel male ci condizioni, in questo caso, nel rapporto con l'abbigliamento e con il corpo, in modo da agire e non essere agiti per poi affidarsi ai concetti della scienza che ci dicono che possiamo sentirci diversamente vestendoci diversamente, e ancora concedendoci maggiore indulgenza dalle rappresentazioni che ci sminuiscono.
E allora "altrove" può diventare il mantra per ricordarsi che c'è la possibilità di uno spazio, questa volta mentale, che simboleggia l'assenza del quotidiano, dell'abituale e che richiama un desiderio, così da dirigersi e abitare altro con rinnovati pensieri e guardaroba.