Il dentro e il fuori, quello che è in superficie e quello che è in profondità, quello che appare e quello che è: che rapporto c'è tra queste due dimensioni? Una conta più dell'altra?
E da qualche giorno che mi soffermo su questo pensiero, complice un lavoro di cucito. Ero alle prese con la realizzazione di una giacca, sono andata per via empirica e sono inciampata in alcuni errori che hanno richiesto qualche scucitura più del dovuto, così nel di dentro la stoffa si è un po’ rovinata, inoltre non avendo l’attrezzatura per le rifiniture queste sono rimaste da fare.
Dal di fuori la giacca si presenta bene, un bel tessuto e nessuna grande imperfezione, tanto che ho ricevuto diversi complimenti indossandola, ma io so che dentro ci sono delle “ferite” dei lembi di stoffa lisi è un po’ rovinati che non potranno tornare più come prima, ci sono degli errori non completamente messi a posto, solo aggiustati in modo frettoloso.
E mi sono detta che è una perfetta analogia del rapporto tra la nostra esteriorità e interiorità.
La parte esteriore, vale a dire l'immagine, l'apparenza, il sembrare, sono il nostro involucro, la parte visibile, quello che ci presenta nell'immediato al mondo. Il ruolo di questa dimensione non è semplice, non ha scampo è lì in bella vista, esposta a valutazioni e giudizi, comprendo che talvolta abbia necessità o voglia di camuffarsi, imbellettarsi, sottrarsi, rendersi conforme a presunte aspettative.
La dimensione interiore, vale a dire l'identità, il nostro essere, la parte profonda che non si vede subito, e che non tutti vedono, rimane all’immaginazione, ha un’aura di mistero, ha il fascino ambiguo del “potenziale”. D’altro canto è quella parte che magari è in sofferenza e viene taciuta, può riportare ferite più o meno profonde, proprio come quelle della mia giacca, può contenere aree di miglioramento che richiedono maggior lavoro di quanto le sia stato dedicato.
Il mondo ci osserva, per lo più, da fuori, ma chi siamo e il nostro movimento verso il mondo parte da dentro. Proprio come nel caso della mia giacca: gli altri la osservano da fuori, ma la sua creazione è partita dalle cuciture realizzate dal rovescio, al suo interno.
Nel rapporto tra queste due parti, quando tutto funziona al meglio, c'è coerenza, sinergia, comunicazione, espressione reciproca, così "chi siamo" parte da dentro e si esprime nell'aspetto. Tornando all’analogia con la giacca, quando il rovescio contiene buone cuciture e rifiniture anche l’esterno sarà di bell’aspetto.
Quando invece ci sono insicurezza, pressioni del contesto, giudizi e simili, chi siamo risulta ambiguo, a seconda della maschera che indossiamo e che ci serve per adattarci, sembriamo più questo o quello e nel gioco del mascherarci iniziamo a diventare altro e via, via, facciamo sempre più fatica a recuperarci, a recuperare le nostre caratteristiche più profonde.
Sempre restando sull’analogia della giacca, quando il rovescio è stato maltrattato, con tagli troppo profondi, scucito, rifilato, rattoppato, l’interno rischia, in certe zone, di essere più delicato e fragile, si fa più fatica a vedere il valore della stoffa.
Per lungo tempo ho pensato che, ai fini del cambiamento e del benessere, la priorità andasse alla dimensione interiore, che un bell’aspetto se non faceva il paio con caratteristiche interne di valore non ne avesse di per sé, che il bello fuori fosse un trabocchetto, che quello che conta è coltivare la propria interiorità e che curando l’esteriorità si potesse solo ottenere un inganno.
Poi sono arrivati gli studi sulla cognizione incarnata e sulla cognizione vestita a spiegarmi che azioni sulla dimensione esteriore influenzano la dimensione interiore, che prestare attenzione all’involucro può favorire un ambiente più favorevole per la crescita interiore, dunque ho rivisto la mia credenza dando pari dignità e importanza ai due aspetti e ho messo tutto qui, nel manifesto di PersonAtelier.
E tu da che parte stai?