In un certo senso, con il loro lavoro, creano di stagione in stagione la versione di chi saremo.
Attraverso le forme ed i colori che con l’anticipo di un anno per l’altro scelgono per le loro creazioni definiscono i messaggi che con maggiore frequenza troveremo in circolazione e gli input che i nostri cervelli potranno elaborare per farci sentire certe emozioni piuttosto che altre. Questo ci spiega la “cognizione vestita”, che le forme ed i colori pervadono i nostri cervelli, che reagiranno di conseguenza: un tessuto rigido sarà un invito a stare più dritti, una morbida lana ad accoccolarsi al suo interno, un vestito sartoriale a ragionare in modo più astratto, un abito casual ad essere più pragmatici, un colore profondo ad avere uno sguardo interiore, tutti elementi raccolti dalla psicologia e dalle neuroscienze per spiegare gli effetti degli abiti sul nostro comportamento.
Mi chiedo se di questo potere, di contribuire cioè a presentificare le condizioni che esperiremo, ne sono consapevoli gli stilisti, in quest’ottica non si tratta di preoccuparsi di come appariranno i loro vestiti ma soprattutto di come ci staremo dentro e di chi saremo indossandoli.
I designer, più che rispondere al mondo che ci circonda, secondo me concorrono a crearlo, con il loro lavoro costantemente proiettato nel futuro.
A noi poi il compito di “indossarci”, selezionando quello che più ci corrisponde tra l’offerta a disposizione per rappresentarci nel nostro “essere” che comprende chi siamo (il nostro sé), chi possiamo essere (le nostre potenzialità), chi vogliamo essere (i nostri desiderata) e via a seguire.