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Vestire chi siamo

30/6/2022

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In questi giorni riflettevo su una frase che mi capita di sentire più volte durante le consulenze , ovvero: “questi  abiti li uso al lavoro, poi nella vita uso tutt’altro”,  oppure  al contrario,  “ora che sto prevalentemente a casa mi vesto così, ho tante cose belle che rimangono lì nell’armadio”.
E così, nel primo caso ci si veste per chi non si è e nel secondo non ci si veste per chi si è.
Sembra un gioco di parole marzulliano ma io le trovo due cose diverse:
  • quando ci vestiamo per chi non siamo e non ci interessa essere: aggiungiamo al nostro sé parti che lo “adattano” e  lo rendono conforme, rischiando così di perderci di vista
  •  quando non ci vestiamo per chi siamo: o almeno non lo facciamo completamente rischiamo di ridurre e assottigliare il nostro sé togliendoci possibilità di manifestazione ed espressione.
 
Nel primo caso abbiamo un sé adattato e nel secondo un sé contenuto, ora se questo è per noi un dato noto, che non ci disturba e magari anche transitorio nulla di male, se invece lo viviamo con dispiacere e  rammarico possiamo fare un po’ d’ordine mettendo qualche puntino o meglio qualche parentesi:
  • Vestirsi per chi (ancora non) siamo: vuol dire spostarsi verso  delle potenzialità desiderate, in questo caso  gli abiti non sono più oggetti per l’adattamento, diventano  vettori di cambiamento e completamento. Da attuare per ogni sfera del nostro sé che vogliamo vedere crescere, ad esempio voglio essere sportiva come una runner,  inizio a tirare fuori il completo da corsa, e poi lo indosso per una camminata e poi per camminare e correre.  
  • (Non) Vestirsi  per chi siamo:  vuol dire  riposizionarsi in sé, in questo caso se riteniamo che non ci siano occasioni per indossare il tal abito, possiamo usare gli abiti per crearle.  Ad esempio scelgo dall’armadio quell’abito che mi piaceva tanto e lo mettevo per andare in ufficio e ora lo indosso per fare una passeggiata e prendere un caffè,  o per fare una commissione.
 
Dunque a noi la scelta ogni giorno di vestirci per chi non siamo, per chi ancora non siamo, o per chi siamo, le forme ed i colori al di là della nostra volontà comunicheranno, e allora tanto vale farlo a  nostro vantaggio.
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Filogenesi dei vestiti

21/5/2022

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Flugel nel suo libro dedicato alla psicologia dell’abbigliamento riporta un interessante parallelismo tra evoluzione della specie ed evoluzione dell’abbigliamento.
Il nostro guardaroba comprende diverse tipologie di indumenti: bluse, calze, pantaloni, giacche, gonne che possono essere paragonate alle diverse specie viventi.  George Darwin, figlio di Charles Darwin, ha tratteggiato un confronto tra l’evoluzione delle forme di vita e l’evoluzione degli abiti.
La biologia ci insegna che una specie può svilupparsi per gradi, a volte perdendo quelle caratteristiche che non hanno più utilità, altre mantenendole in forma ridotta.
Lo stesso possiamo osservare  nell’abbigliamento, ad esempio in alcune giacche a coda da uomo sulla schiena sono apposti due bottoni, oggi ornamentali, un tempo utilizzati per fermare verso l’alto le code in modo che non intralciassero andando a cavallo.
Così come i risvolti delle maniche e dei pantaloni oggi sono decorativi ma un tempo  le maniche dei soprabiti e delle giacche venivano spesso risvoltate per mettere in mostra i dettagli ricercati del capo sottostante.
I risvolti dei pantaloni  trovavano ragione di esistere per proteggerne il fondo, si trattava di una manovra temporanea e i pantaloni venivano tirati giù non appena si abbandonava la strada fangosa per entrare in casa.
A determinare le sorti del’evoluzionismo degli abiti vi è la moda, in alcuni periodi accelererà il suo ritmo, un esempio è stato dopo la Rivoluzione Francese con la comparsa della borghesia, periodo nel quale intere specie scomparvero, altre il ritmo del cambiamento sarà più lento non essendoci ragioni storiche o culturali alla base.
Ai giorni nostri il  fast fashion e allo stesso modo la sostenibilità  sta portando ad una semplificazione nella manifattura degli abiti che via, via stanno perdendo dettagli che richiedono spesso un prezzo troppo elevato nella lavorazione e così, capo dopo capo assistiamo a piccole estinzioni e si spera a nuove apparizioni.
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Dal Se al Sé

29/4/2022

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Il concetto di Sé risponde alla domanda “chi sono io?’” È la conoscenza che abbiamo maturato, riguardo alla nostra personalità, attraverso esperienze e interazioni e che ci fa dire che siamo estroversi o introversi, sicuri o insicuri, coraggiosi o timorosi, belli o brutti.
Comprende la percezione di come ci vediamo (sé reale), di come vorremmo essere (sé ideale), di come riteniamo di dover essere (sé normativo).
Raramente queste dimensioni coincidono, sono per lo più presenti delle discrepanze che provocano differenti emozioni: di tristezza e frustrazione quando il sé percepito come reale è differente da quello ideale e di ansia e paura quando è differente dal sé normativo.
Esistono poi, nel concetto di sé, delle immagini ipotetiche, relative a ciò che si può, si vuole realizzare/diventare (sé possibili).
Chi ha un’immagine positiva di sé, si piace, vede le proprie qualità apprezzando le proprie risorse.
Chi ha un’immagine di sé negativa coglie le mancanze, facendo fatica a vedere le qualità positive.
Ritengo che per aprire uno spazio di cambiamento nella visione di sé, una buona strada da percorrere sia quella del Sé possibile,  le diverse ipotesi funzionano, infatti, come incentivi per il comportamento futuro, in termini di speranze e scopi.
Vedere lo spazio di possibilità del Sé significa ragionare e parlare il linguaggio del  “se”, aprendo così una visione su chi mi aspetto di diventare (sé atteso), passando attraverso domande, scenari e timori (sé sperato), per arrivare a chi mi piacerebbe essere, in modo da contenere tutte le possibilità.
Per farlo possiamo utilizzare il nostro guardaroba. La teoria del completamento simbolico del Sé dice che quando ci sentiamo incompleti uno dei modi che più frequentemente utilizziamo per completarci è attraverso gli oggetti e l’abbigliamento è uno di questi.
Posso ad esempio indossare un paio di jeans e sneakers per sentirmi più giovanile, una giacca e un paio di occhiali per sentirmi più intelligente, un cappello originale e un vistoso paio di occhiali da sole per sentirmi una diva.
Possiamo quindi selezionare dal nostro armadio ciò che a livello di forma e colore rappresenta la proiezione futura e desiderata di Sé. A questo scopo vengono in aiuto le Stagioni Interne che rappresentano l’identità visiva di caratteristiche comportamentali. Ed  ecco come usare il “se” per sviluppare il Sé.
  • Se nel tuo modo di apparire vuoi trasmettere un allure di successo e forza, utilizza forme grintose e lineari con punte e angoli, colori “statement” dal blu, al nero al grigio e  colori energici quali il rosso e il bianco.
  • Se vuoi lasciare un segno scegli colori vivaci e accostamenti forti dal rosso al viola, il giallo e l’arancio accesi, colori brillanti quali fucsia, corallo, verde lime e menta. E per le fantasie: cerchi, pois, forme curvilinee, stampe anche vistose, animalier.
  • Se vuoi essere affidabile e vuoi creare una relazione empatica con il tuo interlocutore, affidati a colori neutri o naturali quali giallo, ocra terracotta, marrone, e in generale tutti i toni della terra, ma anche colori pastello specie il rosa. Per le stampe e nelle forme prediligi quadri, quadrati, quadrettini e fantasie a plaid, stampe floreali, dettagli femminili (voulant, balze, rouches).
  • Se vuoi stare più a contatto con il tuo mondo interiore rispetto all'esterno, scegli nei colori il blu, il nero, il bianco, il viola scuro. Nelle forme: fantasie astratte, etniche, paisley.
 
In questo modo, attraverso i vestiti che indossi, inizierai a segnalare a te e all’esterno il Sé in fase di cambiamento.
Sperimentare per credere :-)

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vestir-si, il ruolo dei simboli

31/3/2022

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Come nascono i simboli? Perché attribuiamo proprio quel significato ad una forma o ad un colore?
Succede perché gli oggetti contengono degli inviti all'uso, le cui istruzioni emergono in modo immediato e spontaneo dal momento che appartengono al mondo che ci circonda. Una punta, ad esempio, ci ricorda una lancia o una lama e ci suggerisce aggressione, un triangolo richiama la forma di una montagna e suggerisce stabilità.
Si tratta insomma di una sorta di patrimonio dell’umanità.
Da questi suggerimenti si sviluppano, a seconda dei luoghi e del tempo, sistemi di simboli che vestono e svestono le forme e i colori di significati. Questi simboli possono essere più o meno forti e duraturi a seconda della loro presenza e capillarità. Infine la nostra soggettività, vale a dire la nostra cultura, le nostre esperienze, le nostre caratteristiche, fa il resto e attribuisce il significato.
Per esemplificare il tutto ho fatto un piccolo esperimento con un gruppo di persone, mandando loro 4 foto relative a 4  abbinamenti e chiedendo loro di descrivere cosa ciascuno comunicasse loro.
I risultati che riporto sono relativi alle 15 risposte ricevute (da parte di 2 uomini e 13 donne con età dai 30 ai 75 anni circa).

Gli abbinamenti che ho composto contenevano due pattern differenti: PAISLEY vs RIGHE, e due colori: il BLU e il BEIGE.
Ho scelto appositamente forme e colori che hanno una diffusione ed un effetto visivo differente.
Vale a dire che le righe sono più diffuse del paisley ed il loro significato/associazione simbolica è più divulgato e trasversale. Il paisley ha avuto una diffusione in tempi più lontani, e in generale è meno presente nel mondo del pronto moda e trova quindi minori associazioni per i consumatori.
Allo stesso modo il blu è un colore con una simbologia più forte e marcata e più diffuso rispetto al beige.
Ho poi scelto una tipologia di pantaloni dal taglio a palazzo (uno beige e uno blu) e due modelli di blusa, una t-shirt in cotone (fantasia a righe beige e blu) ed una blusa con Scollo a V, con fiocchetti sulle mezze maniche (fantasia paisley beige e blu).
Di seguito i capi selezionati.

Prima di presentare i risultati inserisco un breve approfondimento sulla simbologia di queste forme e colori.
Il pattern paisley, anche noto come cachemire, contiene nella sua stampa un motivo vegetale a forma di goccia, di origine persiana.
Nell'iconografia della mesopotamia la forma rappresentava simbolicamente il germoglio della palma da dattero. La palma aveva un ruolo centrale nella vita quotidiana, offriva cibo, bevande, materiali per la costruzione e l'abbigliamento. Per questo era considerato e lo è tuttora simbolo di fertilità e lunga vita.
 
Le righe sono passate, dalla simbologia medievale, che indicava ciò che era diabolico e fuori dalla norma (vestivano a righe orizzontali i buffoni, gli eretici, le prostitute,etc.), al successivo significato di ciò che è al servizio (vestivano a righe i servitori e i marinai), per approdare poi all’abbigliamento balneare e da lì  raggiungere il significato attuale di svago e leggerezza quando indossate nel periodo primaverile ed estivo.
 
Il blu è un colore calmo e rilassante associato alla formalità, professionalità ed eleganza, il beige è un colore neutro, associato a ciò che è classico, è un colore, come dice Leatrice Eisman del Pantone Color Institute, non presuntuoso, composto ed equilibrato che rischia di diventare anche un po’ noioso.
 
Quanto ai capi, i pantaloni a palazzo richiamano associazioni al classico ed elegante (il taglio è usato in contesti più formali o in occasione di cerimonie), la t-shirt con stampa a righe risulta informale, comoda e allo stesso tempo grintosa per la stampa e il colore, mentre la blusa ha un’aria un po’ retrò sia per il modello, sia per i dettagli (fiocchetti) che le donano un po’ di romanticismo.

Mettendo tutto  insieme, pattern, colori, tipologia di capi entra in gioco l’effetto dell’algebra cognitiva, ne ho parlato qui, che ci restituisce l’impressione finale che ricaviamo dall’outfit.
Quando poi questo è indossato altri elementi rientreranno nel calcolo algebrico, vale a dire l’acconciatura, il make-up, gli accessori, la fisiognomica e le espressioni. Ma qui ci limiteremo all’analisi degli abbinamenti.
Di seguito i 4 abbinamenti che sono stati inviati al campione.


Cosa aspettarsi?
Quella che propongo di seguito è un’interpretazione che conta sulle affordance (invito offerto dalla forma/colore) e sulla simbologia senza tenere conto della soggettività dell’osservatore che rimane sempre un elemento poco o niente decifrabile a seconda del livello di conoscenza che abbiamo della persona.
Il paisley presenta linee morbide e fluide del mondo vegetale/floreale, il richiamo è ad elementi di grazia e delicatezza, soprattutto nell’abbinamento con il colore beige, in questo caso il rischio è che il colore diventi predominante e possa risultare noioso, a differenza del caso in cui la blusa è associata al pantalone blu che dovrebbe conferirgli più grinta o rigore.
Le righe con la loro geometria lineare e solida richiamano elementi di espansione, crescita, determinazione, hanno forti associazioni con il mare e l’estate dal momento che nel pronto moda le ritroviamo soprattutto nella bella stagione, quando associate al colore blu saranno più formali ed eleganti e più leggere se abbinate al beige.

Cosa è emerso?
Qui di seguito i risultati dell’indagine. Ho riportato i commenti raggruppandoli per somme categorie e indicano tra parentesi il numero di frequenze quando maggiore di 1.
Di seguito i commenti del campione.

Foto
Foto
Foto
Foto
Foto 1
stilosa (2), stile e classe, elegante, eleganza sportiva, elegante chanel
sportiva marinara, classico da mare, sapore di mare,
easy (3),
rigore, rispetto regole,
professionale.


Foto 2
evasione, sbarazzina, fresco retrò, sapore di mare,
sportiva,
bon ton, elegante, tradizionale, sobrietà,
dinamica, grintosa, versatilità
moscio.

Foto 3
sobrietà, equilibrio, seriosa (2), classica (3), razionalità
romantica (2),  
rilassante, accudente
dimesso, spento,
leggerezza.


Foto 4
antico,  ordinaria,  sciatto, peppiotta (2), madamin,
eleganza, eleganza d'altri tempi, raffinato
formale, serioso, classica assertiva
romanticismo.

Osservazioni sui commenti
Foto 1
Il blu insieme alla t-shirt a righe e al pantalone dal taglio classico a mio avviso propone una simbologia in generale nota e diffusa, si presentano infatti maggiori aggregazioni e condivisione nella direzione che ci si attende vale a dire dell’eleganza, della formalità, della moda e del balenare.
Foto 2
Il beige insieme alle righe, come da attese smorza l’effetto formale, mantiene l’allure grintosa, elegante ed estiva e inizia a far intravedere la possibilità che l’effetto beige sia un po’ spento.
Foto 3
Il blu insieme alla blusa paisley e al pantalone dal taglio classico propone una simbologia meno vista dei due abbinamenti precedenti per il pattern della blusa, il colore blu ancora domina per il suo significato, l’effetto generale per i più è sobrio, equilibrato e serio, si è persa la grinta che conferivano le righe, (arrivando in alcuni casi all’interpretazione opposta, vale a dire ad un look dimesso e spento) a beneficio di maggiore romanticismo e accudimento probabilmente per il modello della blusa. I commenti relativi al dimesso e spento potrebbero essere l'effetto del colore, in generale scuro.
Foto 4
L’effetto generale beige e il modello romantico della blusa definisce un’immagine divisa a metà tra l’effetto classico di altri tempi e l’antico, ordinario, fuori moda risultando quasi fastidioso. Si sono persi quasi tutti gli elementi di formalità dati dal colore e dal taglio del pantalone.

Conclusioni
Quello che osserviamo è che laddove i codici sono maggiormente condivisi (righe, colore blu, taglio dei pantaloni e t-shirt) la variabile soggettiva incide meno, risulta più semplice quindi allineare le intenzioni comunicative alle interpretazioni degli osservatori.
Viceversa laddove i codici sono meno condivisi poiché meno narrati a livello collettivo o meno presenti (paisley, colore beige, taglio della blusa) la variabile soggettiva incide maggiormente creando interpretazioni varie e a volte opposte, in questo caso si riduce l’allineamento tra intenzioni e interpretazioni.

Il punto fermo in questo processo è il soggetto che sceglie cosa comunicare e a chi, tenendo conto che in primis comunica a se stesso, la suggestione che voglio lasciare è quindi di vestir-si (vestire sé), vale a dire tenendosi in conto, in termini di bisogni, caratteristiche personali e certamente forme e colore donanti, avendo a disposizione un lessico diventa più semplice e divertente.

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Riflessioni e analogie tra macro e micro

26/2/2022

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Quello dell’immagine è l’ultimo post che ho pubblicato il 23/2 sera, dietro ogni scelta c’è un'intenzione, consapevole o inconsapevole che sia  che sia, nel mio caso era un messaggio relativo alla situazione Ucraina. Nella bandiera dell’Ucraina, il blu del cielo simboleggia la pace e sta sopra il giallo dei campi di grano che simboleggia la prosperità. Li ho scombinati un po’ nell’ordine e nelle sfumature in base a quello che avevo in negozio.
Nelle mie intenzioni il messaggio era quindi che pace e prosperità insieme sono sempre una buona idea.
Il 24 mattina purtroppo lo scenario è quello che oggi conosciamo, e nel corso di quella giornata e di questi giorni mi sono sentita annichilita per il pensiero che nulla serva di fronte a traumi umani di questo genere, tutto perde di significato, anche per la vergogna di pensare o fare cose normali quando sai, che altrove succedono cose disumane.
Così mi sono bloccata, poi questa mattina ho pensato che le intenzioni non bastano, devono seguire dei fatti, solo che di fronte a situazioni così grandi pensiamo di non poter fare nulla e la tentazione è di sospenderci e aspettare, in effetti nel macro, come singoli, il nostro spazio di influenza è praticamente nullo, ma nel micro il nostro spazio di influenza è molto ampio.
E il mio micro è forse diverso dal macro? Quello che osservo, in proporzioni diverse, è molto simile.
Vedo persone che stanno vivendo un momento difficile  per una malattia appena diagnosticata, per la perdita dei propri diritti, per  la perdita di un proprio caro, per la stanchezza del momento  o al contrario altre che stanno vivendo un momento felice per un nuovo inizio, un riconoscimento professionale, un pranzo o un aperitivo condiviso. E mi sono detta che in fondo è sempre così: tutti noi, nelle nostre vite, andiamo a velocità diverse, sono onde, ci sono i momenti in piano e poi i picchi verso l’alto e verso il basso, dove siamo è transitorio, nel bene e nel male e lo stesso accade nel macro. Contemporaneamente in una parte di mondo c’è la guerra e da un’altra c’è la Milano Fashion week .
Quindi che faccio? Quello che ho sempre fatto,  il mio lavoro, la mia vita, e in più nelle intenzioni e nei fatti cercherò di metterci più attenzione, cura,  gentilezza e rispetto verso chi incontro e mi sta accanto, perché sono convinta che una escalation di queste azioni nel micro possano incidere nel macro.

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Di riflessi, di sguardi, di dentro&fuori

21/1/2022

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Gennaio, in negozio, è un periodo che ha un andamento più lento del solito, che consente di prendersi cura degli spazi e degli oggetti e questo fare rallentato, quasi meditativo porta con sé spunti di riflessione.
E' quello che mi è successo pulendo vetri e specchi, mi sono ritrovata a strofinare con insistenza perché il riflesso non era nitido, rimaneva sempre una sorta di alone fino a quando mi sono resa conto che il problema non stava nello specchio quanto nei miei occhiali, che tornati puliti mi hanno restituito un'immagine del di fuori nitida e trasparente.
Ho pensato che questo ha molto a che fare con il nostro modo di vederci.
Mi spiego meglio, lo specchio e il suo riflesso rappresentano il nostro "fuori", quello che offriamo alla vista, nostra e degli altri.
Può capitare che questa immagine che vediamo riflessa, non ci piaccia del tutto o che non la sentiamo rispondente a chi pensiamo e sentiamo di essere.
Allora per colmare questo gap, come aree di lavoro si aprono diverse strade, la prima e più immediata è quella di modificare quell'immagine dal di fuori: un taglio di capelli, un make-up diverso, un cambio d'abito.
Riprendendo la metafora di sopra queste azioni corrispondono alla pulizia dello specchio per vedere un riflesso diverso, a volte capita che con i cambiamenti messi in atto ci piacciamo di più e la cosa più o meno finisce lì.
Altre volte, succede invece che, il cambiamento realizzato nell'aspetto non lo percepiamo, continuiamo a vederci appannati, mancanti, non come vorremmo. Eppure gli altri guardando noi e guardando lo specchio vedono altro, e sia prima che dopo ci vedono in un modo che per noi rimane sconosciuto, magari ci fanno apprezzamenti, non ci capiscono e noi non capiamo loro arrivando fino a non credergli.
Qui allora il problema, sempre per seguire la metafora di sopra, sta negli occhiali, nello sguardo che è coperto da un velo fatto di giudizi e credenze. 
In questo caso il cambiamento esteriore è un primo passo, utile a renderci consapevoli che c'è di più, magari è anche utile a togliere un po' di aloni ma comunque non sufficiente, occorre un'igiene diversa, cognitiva ed emotiva, un lavoro di re-visione di sé, in sospensione del giudizio, per diventare nuovi osservatori della realtà.
Tecnicamente nel primo caso (il lavoro sull'immagine) si parla di un cambiamento/apprendimento di primo livello, cambiamo delle azioni (un nuovo modo di vestirsi, di pettinarsi, di truccarsi) e cambia l'opinione che abbiamo su di noi, in questi casi probabilmente quello che ci manca è la consapevolezza di cosa sia adatto a noi e la capacità di usare forme e colori, che possiamo imparare attraverso l'aiuto da parte di chi ha questa competenza.
Nel secondo caso (il lavoro sui giudizi e sulle credenze) si parla di un cambiamento/apprendimento di secondo livello, in questi casi quello che c'è in più ad impedirci di stare bene con noi, sono pensieri critici e giudicanti, convinzioni limitanti sul nostro essere, quello che occorre allora è prendere consapevolezza di questi pensieri/credenze per trasformarli in altro, in qualcosa che ci sia più utile.
La prova del nove per capire se necessitiamo di un cambiamento di primo o secondo livello è osservare il nostro comportamento quando facciamo shopping o andiamo dal parrucchiere o sfoggiamo un nuovo trucco. Se capita che davanti allo specchio di un negozio, magari con il commento positivo di una commessa ci piacciamo ma poi quando torniamo a casa con lo stesso abbinamento/taglio/trucco non ci piacciamo più e questo succede in modo ricorrente probabilmente quello che ci occorre è di andare più in profondità e lavorare sull'immagine interiore che abbiamo costruito e sui pensieri che la nutrono.
Se invece quando riceviamo dei suggerimenti e dei consigli, percepiamo la differenza, li facciamo nostri e riusciamo a "vederli" anche a seguire è probabile che quello che ci manca siano delle tecnicalità, conoscenze o tecniche da mettere in pratica per mantenere il cambiamento.
​
Noi per non farci mancare nulla lavoriamo sulle due dimensioni con il servizio Dai Forma e Colore al tuo Stile che puoi trovare qui.
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Cambio d'Abito

30/12/2021

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Il cambio d'abito, che sia in una rappresentazione teatrale, in una cerimonia, in un contesto lavorativo o casalingo, presuppone la fine di una parte, di un ruolo, di un'attività e l'inizio di qualcos'altro. L'abito è quindi il messaggio offerto alla vista che dichiara il cambiamento e racconta la sua promessa.
Ed è così che per me si conclude quest'anno, con la dichiarazione di un cambio d'abito.
Metaforicamente qui il vestito rappresenta il "fare" è la parte visibile e visiva di chi siamo, in ambito professionale è il nostro ruolo. Mostriamo agli altri i nostri comportamenti e sotto ci sono parti di noi, del nostro essere più articolate e ampie che comprendono potenzialità, bisogni, stati emotivi, credenze e può capitare che i vestiti di cui disponiamo siano diventati stretti o larghi o fuori moda o fuori contesto o altro ancora.
Per me è così, ci sono alcuni pezzi del mio guardaroba (alias del mio fare) che oggi sono strettini, altri troppo grandi e altri che non mi rappresentano più per chi sono oggi.
Il nostro fare dovrebbe essere la naturale conseguenza di chi siamo (sono e dunque faccio), talvolta capita, a me è capitato a lungo, che sia il punto di partenza per definirci se non addirittura per vederci e sentirci (sono quello che faccio), e per esperienza posso dire che non è mai stata una buona opzione.

Negli ultimi 6 anni ho cercato di avere un guardaroba vario e ampio mettendo talvolta capi più formali e talvolta altri molto casual, ma ora questo guardaroba mi sembra troppo eterogeneo e soprattutto comporta una certa  difficoltà negli abbinamenti.
Ho provato anche a fare accostamenti insoliti, abbinando in modo diverso i vestiti, perchè avevo inteso che la logica della "e" fosse una ricchezza, ossia non devi per forza avere solo questo o quello ma puoi trovare nuovi modi per usare e questo e quello.... forse ho sbagliato qualcosa ma sono arrivata alla conclusione che a volte ci voglia proprio un'azione o questo o quello e così ho deciso che dei miei vestiti qualcuno lo abbandonerò e qualcun altro lo acquisterò.
Lascerò quello che ormai mi sembra fuori contesto e troppo grande perché quando lo indosso mi sento piccola.
Lascerò quello che è troppo di moda, originale e insolito perché dentro mi sento scomoda.
Terrò invece tutto quello che quando lo indosso sorrido e sento corrispondermi.
​E poi voglio acquistare uno di quei capi che ho sempre guardato con desiderio e non ho mai acquistato perché pensavo che non fosse il caso, o ero di corsa e non lo potevo provare, o che mi faceva dire che alla mia età non era adatto, voglio scoprire cosa si prova ad indossarlo.

Ora se ti va puoi fare anche tu questo gioco del lascio, tengo e acquisto.
Sostituisci ogni volta al concetto di "guardaroba", "abito", "vestito"  quello che fai, che si tratti di un fare lavorativo (come nel mio caso) o di altra natura,  è una pulizia che secondo me a fine anno merita di essere fatta.
Buon cambio!
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Gioia prêt-à-porter

25/11/2021

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Possono cose tangibili creare un sentimento intangibile come la gioia?

Se lo è domandato la designer Ingrid Fetell Lee che ha indagato l’impatto psicologico dell’ambiente sul nostro umore, ne ha parlato nella Ted Talk intitolata “Where joy hides and how to find it” e nel suo libro Cromosofia.

La designer  racconta di come in tutti i libri sulla felicità che aveva letto, nessuno suggeriva che la gioia potesse nascondersi in un armadio o nei pensili di una cucina e più studiava l’argomento è più scopriva che la gioia non era una forza arcana e misteriosa, ma emanava direttamente dalle proprietà fisiche degli oggetti, vale a dire da quello che i designer chiamano estetica.
L’autrice parla così di estetica della gioia, identificando dieci estetiche, ossia dieci elementi fisici connessi con il sentimento della gioia, che vanno dai colori vivaci, alla luce, alle simmetrie, alle forme sferiche e curvilinee per arrivare all’energia, all’abbondanza e alla natura.  Sostenendo che il potere delle estetiche sta nel loro parlare direttamente al nostro inconscio e quando presenti rendono gli ambienti più stimolanti e gioiosi. Del resto già in tempi più remoti in psicologia diversi esperimenti, dalle auto del Bronx e Paolo Alto di Zimbardo (1969), alle finestre rotte di Wilson e Kelling (1982), ai rifiuti di Keizer (2008),  hanno messo in evidenza come degrado e incuria negli ambienti stimolassero comportamenti antisociali.
Poi si pone una domanda molto interessante, in relazione al fatto che spesso sappiano cosa ci renderebbe felici in un ambiente o cosa ci piace, eppure ci ritroviamo in contesti  che sono l’esatto opposto, più precisamente si chiede: “pochi direbbero che il loro colore preferito è il grigio o il beige, eppure le nostre case sono spesso dipinte di anonime tonalità neutre. Perché  c’è un divario così netto tra i colori che ci trasmettono gioia e quelli di cui ci circondiamo?
La risposta che si dà è cromofobia,  che affonda le sue radici in svariate cause, dalla mancanza di coraggio nell’osare, alla tirannia dell’opinione pubblica, alla paura di scegliere e sbagliare.
 
Traspongo tutto questo nel rapporto con l’abbigliamento e ritrovo molteplici analogie. Spesso sappiamo cosa ci piace, tuttavia pensiamo che non sia opportuno, non sia adatto e così scegliamo qualcosa di modesto e neutro, trascurando il fatto che quello che vale per l’ambiente, che letteralmente è lo spazio che circonda qualcosa, vale anche per ciò che circonda il nostro corpo, vale a dire l’abbigliamento.
Allora un piccolo breviario di gioia prêt-à-porter , preso dal lessico dell’abbigliamento per ispirarsi nella  scelta dei propri abbinamenti.
Se vuoi:
  • Accoglienza: nelle forme usa pois, linee curve, cerchi.  Nei colori usa arancione, giallo, rosa e i colori pastello in genere.
  • Briosità: nelle forme usa linee a zig zag.  Nei colori usa giallo, arancio, turchese.
  • Estro: nelle forme usa l'animalier. Nei colori usa: rosso, fucsia, turchese e in genere i colori accesi.
  • Magnetismo: nelle forme usa stampe astratte o l’animalier. Nei colori usa il viola, il bianco.
  • Ottimismo: nelle forme usa i cerchi ed i pois di medie dimensioni. Nei colori usa il giallo.
 
Mi piace concludere con la visione dell’autrice sul colore nei vestiti, una riflessione che può ispirarci ad andare oltre la cromofobia verso la cromosofia:  un capo colorato è come un piccolo dono, un puntino luminoso di gioia in un paesaggio tetro.

Approfondimenti

Il sito di Ingrid Fetell Lee
Joyspotter's guide: 12 consigli da scaricare per trovare più gioia nell'ambiente
Cromosofia. Forme e colori che rendono la tua vita felice. 
Ingrid Fetell Lee. Sperling & Kupfer, 2019


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Abito: le sue virtù e le strategie

20/10/2021

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La  coerenza tra identità e immagine, vale a dire tra chi siamo e come appariamo, consente di stare bene con noi stessi e comunicarci  prima ancora di parlare.
L’abito ha delle virtù, io parlo del potere delle 3R, qui mi soffermerò su quello che definisco il suo primo potere, quello di “Rivelare”.
Primo perché è quello che arriva in un battito di ciglia, nel rapido istante di uno sguardo.
Rivelare vuol dire palesare, scoprire, svelare, mettere in luce le proprie risorse. Tecnicamente si parla di makeover per intendere una serie di attività orientate a migliorare l'aspetto di una persona e nelle quali il cambiamento è l’evidenza tangibile ed osservabile della trasformazione attraverso l’abbigliamento.
Ma cosa concretamente possiamo fare per rivelarci attraverso la nostra immagine.

Propongo due modalità, una riguarda il mindset, l’altra l’outfit.
Per il mindset utilizzo a titolo esemplificativo uno studio condotto qualche tempo fa da Dove, che coinvolse un gruppo di donne nella sperimentazione di un cerotto della bellezza (commento e video li trovi anche qui).
Le donne dovettero applicare un cerotto sul braccio, tenerlo due settimane e video registrare un diario giornaliero sui cambiamenti rispetto al modo di sentirsi e percepirsi.
Dai primi video diari sembrava non cambiare  molto ma mano a mano che passavano i giorni le registrazioni riportavano sensazioni di benessere, un livello di autostima aumentato e azioni  fuori dalla zona di comfort. Al termine delle due settimane era previsto un colloquio di follow-up, al quale tutte le donne si presentarono con un’immagine diversa più curata che rivelava tutta la loro bellezza.
Lo stupore fu grande quando scoprirono che nel cerotto non c’era nulla e che avevano fatto tutto da sole.
Di qui lo slogan Dove “beauty is a state of mind”.
L’esperimento è molto suggestivo ma per scendere nel pratico e generare questo cambiamento nell’immagine cosa possiamo fare?
Un modo è quello di avere cura delle parole che usiamo per descriverci, ne ho trattato qui, e costruire così conversazione dopo conversazione un mindset che genera effetti anche sull'immagine rivelandoci.
Possiamo anche seguire un’altra via ed utilizzare una strategia facendo il percorso inverso, da fuori a dentro, attraverso una consulenza di stile nella quale un professionista ci aiuta a scoprire colori e forme donanti  e a costruire un outfit che ci manifesti.
Nel primo caso il punto di partenza sono nuovi pensieri, che generano nuove conversazioni e nuove possibilità  per esprimersi con la propria immagine
Nel secondo caso, quello dell’outfit, il punto di partenza sono nuovi modi di esprimersi nell’immagine, che generano nuovi pensieri e così nuovi  modi di raccontarsi.
Strumenti diversi per raggiungere il medesimo obiettivo, qui  si fa così, a te la scelta!
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I perchè di una psicologia dell'abbigliamento

17/9/2021

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Foto
Ugo Volli in “Semiotica della moda, semiotica dell'abbigliamento?” scrive: "la moda non si identifica con l'abbigliamento... la moda è la modificazione del gusto... l'effetto comunicativo riguarda l'abbigliamento, il sistema di oggetti che avvolge e accompagna il corpo, e non la moda.... lo si può vedere in maniera chiara e semplice notando come la significazione di un capo è tanto più chiara e precisa quanto meno è oggetto di fenomeni di moda".
Da questa premessa segue l’opinione che abbigliarsi sia  una costante antropologica (ne ho parlato anche qui) che risponde ad un bisogno universale dell'essere umano, la moda non è universale non è un fenomeno presente in ogni luogo e ogni tempo, è piuttosto il risultato di condizioni socioeconomiche e culturali,  è circoscritto dapprima ad alcune categorie di persone, contesti,  e poi si estende diventando appunto moda.
Ed è proprio sull’universalità dell’abbigliamento che trova il gancio il fascino per me di questo tema, il fatto che tutti ci vestiamo, che il vestito può esprimerci o nasconderci, che qualcuno lo viva con indifferenza, qualcuno con entusiasmo e qualcuno con insofferenza.
Quanto ai linguaggi dell’abbigliamento e della moda il fattore mutevolezza crea differenze sostanziali: molto codificato il primo e molto poco il secondo.
Nell’abbigliamento i segni sono più forti poiché, all’interno di un contesto di riferimento,  durano più a lungo  e il significato è maggiormente diffuso  a livello collettivo.
Per fare un esempio se qui nel nostro  Paese chiedo cosa sia più formale tra una giacca e una polo è  probabile che otterrò la medesima risposta: la giacca.
Nella  moda i segni sono ipocodificati,  non hanno un significato fisso e stabile ma allusivo e svincolato da norme stabili, la giacca per uno stilista in una collezione avrà un significato magari super formale ed elegante e per un altro diventa un elemento di rottura.

Per questi motivi (costanza antropologica e linguaggio con segni più duraturi) sento più affine l’abbigliamento e la sua psicologia che per me riguarda il rapporto tra soggetto e abito,  tra identità e le scelte che ciascuno fa in fatto di abbigliamento.
Gli strumenti di cui mi sono dotata per lavorare in questa cornice sono:
  • il  lessico dell’abbigliamento, un glossario che contiene la descrizione di capi di abbigliamento e accessori, nei significati che si sono susseguiti nel tempo, selezionando i più durevoli, al fine di poterli  usare consapevolmente  come strumento di espressione del proprio essere dandosi la possibilità di comprendere quando  si attivano bias cognitivi, penso ad esempio a tutto ciò che riguarda le prime impressioni.
  • le Stagioni Interne , 4 stili comportamentali vestiti di forme e colori che li rappresentano, l’output sono 4 guardaroba il fine è di usarli per esplorare il proprio stile in base al proprio essere e a ciò che si vuole ottenere.
 
Per concludere, qual è il posto della psicologia della moda in questo scenario? È il contenitore che va oltre la relazione individuo/abito/espressione di sé comprendendo relazioni tra gruppi, culture, tendenze.
L’abbigliamento, rispetto alla moda, è quindi per me un di cui più approcciabile e personale, per sperimentare quotidianamente azioni di gioco e definizione di sé attraverso la propria immagine.
Se ti interessa sperimentare questo approccio qui trovi il servizio.
Se sei un professionista che vuole usare l’abbigliamento  come strumento di sviluppo qui trovi la formazione al metodo.
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